TORINO. Il centro di identificazione e di espulsione di Torino è dentro la città, fra piazze, parchi e negozi, ma sembra “un altro mondo”. Lo definisce così la ricerca “Betwixt and between”, realizzata dall’International College of Turin, in collaborazione con Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) e la facoltà di legge dell’Università di Torino. Arriva così l’ennesima bocciatura del sistema italiano dei Cie da parte di un’investigazione indipendente. Il rapporto indaga le condizioni di detenzione e il processo legale e giuridico per capire fino a che punto e come vengono applicate la legge sull’immigrazione e la normativa sui diritti umani italiane, europee e internazionali, all’interno del Cie di Torino. Fra gli aspetti trattati ci sono: le relazioni familiari e con i figli fuori dal Cie, il rapporto fra il carcere e il centro, gli aspetti della vita quotidiana come l’igiene, i pasti e le attività, le questioni sanitarie, le relazioni con lo staff del Cie e fra i reclusi, la comprensione che i migranti hanno del posto in cui si trovano trattenuti, il ruolo degli avvocati e quello delle ambasciate che devono procedere all’identificazione. L’indagine è stata condotta senza poter intervistare gli operatori della Croce Rossa che gestisce il Cie e della prefettura, sottolineano i ricercatori.
LE CRITICITA’. Questi alcuni aspetti critici del Cie di Torino, secondo le conclusioni della ricerca. I reclusi non partecipano a tutte le udienze che prorogano la detenzione, nonostante le pronunce della Cassazione in merito. Manca nelle garanzie legislative italiane la possibilità di dare assistenza speciale a casi particolari che necessitano di consulenze più approfondite con dottori e psicologi o di scriverne report.  Non è garantita una piena assistenza linguistica attraverso tutta la procedura legale. I militari e la polizia che operano nel Cie di Torni non hanno avuto una formazione adeguata sulla legge internazionale sui diritti umani e sulla loro attività in presenza di richiedenti asilo o vittime di tortura. Viene espressa “grande preoccupazione” per il fatto che il giudice di pace decide sulla libertà personale dei migranti irregolari. I reclusi che provengono dal carcere lo descrivono come molto migliore del Cie.  Le attività sono insufficienti e mancano opportunità di formazione e di istruzione. Spesso i migranti non vengono trasferiti nel Cie che è più vicino ai loro affetti e alla loro famiglia. Questo può provocare una separazione dai bambini, dalle famiglie e dagli amici che vivono in Italia. In questi casi, viene meno l’applicazione della regola del miglior interesse del minore. A causa delle procedure del Cie ci sono ritardi nell’assistenza sanitaria. Il tasso di autolesionismo è estremamente elevato, così come l’uso di psicofarmaci. Non c’è un adeguato monitoraggio indipendente dei centri di detenzione per immigrati irregolari, la cui situazione attuale non rispetta le indicazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti.

di Sofia Curcio

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