Formaggio stagionato su scaleraRIMINI – Per rispondere all’emergenza carceri la Comunità Papa Giovanni XXIII, (nata nel 68 a Rimini e oggi molto sviluppata in Italia e presente in 37 continenti), ha un’alternativa, il progetto Cec (Comunità Educante con i Carcerati).
L’INIZIATIVA – Il progetto Cec nasce nel 2004, per offrire ai detenuti un percorso educativo in una dimensione di casa famiglia. La Comunità ha aperto destinandole al solo progetto Cec, 4 case famiglia in Emilia Romagna, due in Toscana, 1 in Puglia e 1 in Sicilia, ospitando oltre 350 detenuti. I detenuti sono informati dai volontari, che visitano le carceri settimanalmente, e possono chiedere di partecipare al progetto Cec solo dopo una valutazione di quanto disponibili a un serio cambiamento su stessi. Il programma di Cec consta di tre fasi. La prima, la fase chiusa, prevede un particolare concentramento del detenuto, supportato dai volontari, sul proprio vissuto. La seconda è di proiezione all’esterno con uscite e svolgimento di attività terapiche e formative. La terza di lavoro, con corsi di professionalizzazione e formazione, dove s’impara la produzione e la trasformazione dei prodotti provenienti dall’agricoltura biologica. In particolare presso la coop. Agricola “Cieli e terra nuova”, a Rimini, sono attivi laboratori specifici per la gestione della stalla con e dei capi di bestiame, del caseificio per la produzione di formaggio fresco, della macelleria, e delle colture biologiche. 
STRANIERI PROTAGONISTI – Accolti nel progetto Cec dalla Comunità ci sono sia detenuti italiani che stranieri, senza distinzione del reato commesso. La caratteristica è che le realtà sono cogestite dagli operatori della Comunità insieme ai recuperandi (i carcerati) e ai volontari esterni, debitamente formati che incontrano individualmente e in gruppo i detenuti.
LE DICHIARAZIONI – “La nostra proposta è molto semplice – ha detto Giorgio Pieri, responsabile del servizio Carcere dell’associazione – sviluppare su tutto il territorio nazionale comunità educative capaci di cambiare la mentalità del detenuto, per passare dalla certezza della pena alla certezza del recupero”. Una scelta, precisa Pieri, che “permette di abbassare la pericolosità di chi sconta la pena e dunque aumenta la sicurezza. Su 100 detenuti che espiano la pena per intero in carcere, 80 tornano a delinquere pericolosamente entro qualche anno mentre la recidiva di quelli che svolgono un percorso educativo fuori del carcere si riduce tra 8 e il 10 per cento”.

di Paola Amore

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