Se c’è un aspetto che in questo tempo di crisi legata al codiv-19 è balzato fortemente all’occhio del Paese è la centralità del servizio sociale, una rete di servizi e operatori che ha tenuto e tiene letteralmente insieme lo Stivale occupandosi di sostenere le persone fragili, in questo tempo ancora più a rischio di esclusione sociale, e quelle che lo sono diventate. Dall’affiancare la protezione civile negli interventi di tutela dei cittadini, al gestire le misure governative, come i bonus alimentari, e quelle regionali, come il piano economico-sociale varato dal governatore della Regione Campania, il sistema dei servizi sociali, che conta circa 43mila assistenti sociali, di cui oltre 4mila in Campania (quasi tutti occupati), si è riscoperto essere determinante nel mantenimento della coesione sociale del Paese.
«Dalla fine di febbraio a oggi – afferma Gianmario Gazzi, presidente dell’Ordine Nazionale Assistenti Sociali – i professionisti del sociale hanno dato il massimo, senza tirarsi mai indietro, mettendo in risalto la centralità del loro operato, già evidente agli occhi degli addetti ai lavori e che ora è emersa in tutta la sua importanza agli occhi dell’intero Paese».
«Naturalmente quando parlo di servizio sociale – continua – mi riferisco all’intero sistema dei servizi che, integrato con quello delle altre professionalità, è diventato fondamentale per connettere tutte le risorse di un territorio e garantire l’accompagnamento alle categorie fragili, ulteriormente schiacciate dall’emergenza covid-19». Infatti la peculiarità del sistema dei servizi sociali risiede proprio in una lettura sistemica dei bisogni della persona, che non si limita alla sola necessità economica ma allarga lo sguardo su tutto quello che vi gravita intorno. Tuttavia è un sistema a “a tempo determinato” reggendosi per una buona parte su professionisti precari, facilmente esposti anche al rischio di mobbing, attraverso i quali è difficile tessere sui territori le trame dell’accoglienza che richiedono, come è noto, investimenti sul lunghissimo periodo. 
«La precarietà – aggiunge Gazzi – è un discorso che come ordine professionale abbiamo portato in tutti i tavoli a cui ci siamo seduti, ma è chiaro che va di pari passo con la stabilità dei fondi da rendere strutturali».
Perché se è vero che negli ultimi tre anni si è assistito a un loro costante incremento, è altrettanto vero che è un sistema, quello dei servizi sociali, a rischio di debacle soprattutto a fronte di bisogni sempre nuovi che impongono un rapporto operatore-utente dignitoso, come quello reclamato nella campagna di advocacy lanciata in Regione Campania “Da nessuno, a uno a cinquemila!”.
E qui si arriva dritti a una questione spinosa, la vera chiave di volta del sistema integrato dei servizi sociali: la necessità di definire i livelli essenziali delle prestazioni che non solo garantirebbero un’uniformità di welfare a livello nazionale, ma imporrebbero degli standard al di sotto dei quali non è possibile andare. Soprattutto, forse è questo l’ostacolo, capovolgerebbero il bilanciamento ineguale, oggi esistente, tra diritti sociali ed efficienza economica che vede la capacità di spesa di un territorio come principale criterio per l’assegnazione di fondi in barba al principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione.

di Ornella Esposito