MILANO-Ma quanto vale il volontariato in Italia? E’ una domanda ricorrente alla quale si può rispondere per approssimazioni successive. Oggi i circa 3,2 milioni di volontari italiani rappresentano il lavoro equivalente di circa 385.000 dipendenti funzionali senza retribuzione e ad essi si aggiunge il personale dipendente retribuito delle imprese sociali non profit (630 mila persone). L’equivalente di circa un milione di operatori per il bene comune e per il welfare. Sommando il valore economico del volontariato stimato (quasi 8 miliardi di euro, calcolati con il metodo del costo di sostituzione) al volume delle entrate delle istituzioni non profit (circa 38 miliardi) si può affermare che il peso economico del settore è al di sopra del 4% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato. Ma tutti queste stime sono per difetto.
La crisi economica sottolinea l’indispensabile ruolo strutturale (ma non riparativo) del volontariato e del non profit in generale. I dati ci dicono che fare volontariato in Italia è attività indispensabile per il sistema. Anche perché la ‘presa diretta’ sui problemi della società è evidente. Oggi il volontario dona tempo qualificato e professionalizzato alle persone svantaggiate in un rapporto di scambio virtuoso e di fiducia: si dà e si riceve. Dal punto di visto economico aziendale fare il volontariato vuol dire produrre ed erogare servizi efficienti ed efficaci e scambiare in modo non simultaneo, ma proporzionale, valori economici/meta economici e di reciprocità in modo organizzato e in una logica di imprenditorialità sociale. Una concezione del volontariato come opzione neoliberista utile al «capitalismo compassionevole» ed anche come opzione statalista e «ruota di scorta» funzionale del sistema pubblico è sviante.
Il volontariato è ormai un «lavoro di servizio e di reciprocità» che, al di là delle attività del volontario come singolo, funziona e sviluppa la massima efficacia se collocato all’interno di organizzazioni (che chiamiamo imprese sociali non profit) in un contesto tripolare del sistema socio-economico integrando le imprese profit, le imprese sociali non profit e le aziende pubbliche. Il lavoro volontario prestato all’interno dell’impresa sociale non profit deve essere sempre più professionalizzato e richiede competenze, conoscenze, abilità al servizio della reciprocità finalizzate, direttamente o indirettamente, alla produzione di un servizio o di un bene nell’ ambito di una struttura «giuridicamente, istituzionalmente e aziendalmente formalizzata» che ha come destinatari persone, segmenti di popolazione, enti. Essi sono i clienti delle organizzazioni di volontariato.
Quindi fare volontariato è tempo qualificato messo a disposizione per l’assetto socio-assistenziale, sanitario, artistico-culturale. E inoltre per il lavoro domestico, per istruzione ed educazione di bambini, per il welfare integrativo e il secondo welfare delle imprese profit, per risolvere la complessità dei problemi di vita quotidiana. Tutto ciò vuol dire «lavorare gratuitamente» ed è quasi un paradosso per una società che ha regolato tutto il sistema in base al codice del denaro e dell’avidità (il livello di remunerazione raggiunto assume la valenza d’indicatore di status sociale e dell’importanza attribuita dall’organizzazione all’attività prestata. Il numero dei volontari sopra i 65 anni e ci circa 250.00 persone; se consideriamo i servizi informali(lavoro di cura e di prossimità,di relazione e dia assistenza per il benessere) il Cnel ha quantificato una grandezza pari a circa 150 milioni di ore (in 4 settimane) con una valorizzazione di circa 915 milioni di euro (per 4 settimane). In questa cifra si è calcolato che 565 milioni di euro sono il controvalore dell’assistenza ai bambini e 350 milioni di assistenza in generale. Cifre da capogiro.

di Giorgio Fiorentini (buonenotizie.corriere.it)

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