NAPOLI – Dal 16 al 18 giugno si terrà a Napoli, presso la Camera di Commercio, la quarta edizione del Salone Mediterraneo della Responsabilità Sociale Condivisa, organizzato dall’associazione Spazio alla Responsabilità, sul cui sito potete trovare il programma dei numerosi eventi previsti.

Mi sono avvicinato a questo tema grazie a loro, collaborando alle precedenti edizioni soprattutto sul tema dei rapporti tra profit e no-profit.

Ma cos’è la Responsabilità Sociale Condivisa (RSC)?

La Carta europea della Responsabilità sociale condivisa la definisce come “lo stato in cui gli individui e le istituzioni pubbliche e private necessitano o sono in grado di essere responsabili delle conseguenze delle loro azioni o omissioni, nel contesto degli impegni reciproci assunti su consenso, concordando sui diritti e obblighi reciproci nel campo del benessere sociale e la tutela dei diritti umani, della dignità, dell’ambiente e dei beni comuni, della lotta contro la povertà e la discriminazione, del perseguimento della giustizia e della coesione sociale, mostrando rispetto democratico delle diversità”.

In poche parole individui, istituzioni e organizzazioni private (profit e no-profit) collaborano per il raggiungimento di obiettivi non da poco, come la giustizia sociale ad esempio. Detta così, sarebbe la soluzione di tutti i problemi.

Nella realtà c’è ancora molto lavoro da fare in questo campo, soprattutto sul nostro territorio. Numerosi sono ancora gli ostacoli (soprattutto culturali) da superare, ma notevoli, in prospettiva, potrebbero essere i vantaggi.

Gli ostacoli derivano principalmente dall’arretratezza culturale sia del mondo profit che di quello no-profit del nostro territorio, e da una diffidenza reciproca storica tra questi due mondi.

Quando mi sono occupato di fundraising a Napoli e in Campania, ho incontrato numerose aziende, dalle piccole alle grandi. Alla proposta di collaborazione (e quindi di finanziamenti) per progetti che affrontassero temi quali la povertà con azioni innovative e di impatto sul medio termine, mi sono sentito rispondere sempre le stesse cose:

  1. per noi la solidarietà è dare le coperte ai senza dimora;
  2. vogliamo risultati immediati e facilmente comunicabili;
  3. non abbiamo risorse.

La prima dimostra come il mondo profit campano sia rimasto ad un approccio “charity” della responsabilità sociale, ossia una carità (o beneficienza, termine altrettanto arretrato) che non cambia lo stato delle cose. La seconda è pura miopia. La terza è ignoranza dei vantaggi fiscali delle donazioni alle onlus.

Ovvio che iniziative come il Salone Mediterraneo della RSC siano utili proprio per affrontare questo gap culturale con le aziende europee e del nord Italia. Un sondaggio della Nielsen ha messo in evidenza come i consumatori siano decisamente orientati ormai verso prodotti con un valore aggiunto sociale, ma questo le nostre imprese locali non lo hanno ancora capito. Oppure preferiscono finanziare solo associazioni amiche o di amici di amici, oppure segnalate dal politico di turno, o associazioni che gli garantiscono grande visibilità anche se i loro progetti non servono a niente.

Ma anche il terzo settore campano è ancora arretrato su questo versante. Il cordone ombelicale con la politica è lungi dall’essere stato reciso, e la dipendenza, pressoché assoluta, da fondi pubblici è proprio uno dei motivi della crisi del settore in questi ultimi anni, oltre a tutti i problemi che comporta in termini di trasparenza e responsabilità.

Un corretto bilanciamento tra risorse pubbliche e private (da soggetti affidabili, ovviamente, e il cui settore non sia in contrasto con gli scopi sociali e gli ideali delle associazioni) renderebbe le associazioni più libere, con maggiori capacità di programmazione e, cosa più importante, in grado di riassumere quel ruolo politico che al momento latita, perché se prendi soldi solo dal pubblico non potrai mai davvero criticarne l’operato quando necessario.

E, infine, sarebbe anche un modo efficace per responsabilizzare il mondo profit sui temi che ci stanno a cuore.

C’è chi, nel terzo settore, dice che legarsi al mondo profit sia una catena che limiti la libertà delle associazioni. Non è vero, almeno non sempre, e sta alle associazioni evitarlo. Ma la catena col partito o l’assessore di riferimento non la disdegnano, e spesso la cercano. Finendo, a volte, per strozzarsi. O, più probabilmente, per strozzare chi questi legami non li cerca. Con buona pace della responsabilità sociale.

E allora, personalmente, preferisco un “nemico” responsabile ad “amici” del genere.

 

di Marco Ehlardo

 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui