koulibalyNAPOLI – Ogni volta che in Italia si verificano episodi come quello di mercoledì sera durante Lazio-Napoli, in cui una parte del pubblico ha preso di mira Koulibaly bersagliandolo di “buu” di stampo razzista, si alza un muro di giustificazioni e negazioni. D’altronde succede anche in casi più gravi. Ad esempio, quando accadono veri e propri raid contro migranti, colpiti per il colore della loro pelle. Se ne sente parlare poco, e quando qualcuno ne parla cerca di farla passare per una mera goliardata. Soprattutto ovviamente gli autori, nei rari casi in cui vengono poi fermati. Ma trovano facilmente una sponda pronta a sostenere questa tesi.

Altro esempio nelle scuole, dove più volte abbiamo sentito di rivolte di genitori italiani che non volevano che i propri figli stessero in classe con bambini rom. Ma non è razzismo, ci dicono. Parafrasando Giobbe Covatta, «non siamo noi che siamo razzisti, sono loro che sono rom!». Anche dopo la partita le giustificazioni sono fioccate. Sia da parte di allenatore e giocatori della Lazio, sia da parte di molti commentatori. La più usata è stata la seguente: anche la Lazio ha giocatori “di colore” (quale colore poi?), dunque non poteva parlarsi di razzismo. E poco importa che l’unico ad essere bersagliato fosse proprio l’unico giocatore nero del Napoli. Non capisco perché in Italia dire che c’è una certa quota (crescente) di razzismo sia tabù.

Un tabù che riguarda la società e la politica in modo trasversale. Ricchi e poveri, destra e sinistra. E ormai anche Nord e Sud. Invece gli episodi ci sono: e crescono in numero e in gravità. E si ha la sensazione che l’opinione pubblica stia velocemente modificando il suo approccio alla questione. In peggio. Invece di trovare giustificazioni, il problema andrebbe affrontato per quello che è. Con una lavoro educativo nelle scuole, con un maggiore impegno dei giornalisti ad evitare stereotipi, con iniziative efficaci di contrasto al razzismo da parte delle istituzioni politiche e sportive.

Mi auguro che quanto successo mercoledì a Koulibaly abbia almeno l’effetto di far interrogare i napoletani su questo problema. Il calcio è sempre stato un potente strumento di coinvolgimento delle masse nella nostra città. Sfruttiamolo allora, questa volta per una causa giusta.  Perché non possiamo permetterci di attendere una nuova Rosarno o una nuova strage di Castelvolturno per dire che sì, in Italia il razzismo esiste eccome.

di Marco Ehlardo

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