versNAPOLI- Domani 3 marzo, al sottopalco del teatro Bellini, ci sarà la presentazione de “I Versi della Carrozzella” seconda opera letteraria di Gennaro Morra, scrittore affetto da tetraparesi spastica, cresciuto all’ombra delle ciminiere dell’Italsider, che ammorbavano l’aria di Cavalleggeri, grande rione popolare partenopeo. La raccolta di poesie strizza l’occhio, nel titolo, al celebre romanzo e all’omonimo film, che narra la vicenda umana di Che Guevara, prima che diventi il martire rivoluzionario consegnato alla storia e alla memoria dei posteri. Parimenti Gennaro Morra  fa i conti senza falsi moralismi e, con coraggio, con i propri mostri: li sfida e ne esce vincitore. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua coraggiosa storia.

Ti va di raccontarci brevemente la tua storia?

«Sono nato a Napoli, nel 1972, e fino al momento del parto andava tutto bene. Poi ci sono stati problemi nel farmi uscire, sono andato in sofferenza. Insomma, c’è stato un grave danno al cervelletto e sono nato spastico. Nonostante tutto, anche grazie alla famiglia, sono riuscito a studiare e a farmi una formazione, sia tecnica che umanistica, e per diversi anni ho anche lavorato nell’ambito del web, ma ho deciso di smettere perché non volevo essere più sfruttato. Da qualche mese ho deciso di dedicarmi anima e corpo alla scrittura».

 Quando hai scoperto di avere una passione letteraria e come hai deciso di coltivarla?

«Scrivo da quando avevo 10-11 anni, lo racconto anche nel libro: scrivevo poesie per i miei compagni di classe, che volevano farne dono alle loro fidanzatine e ai fidanzatini. Poi è chiaro che la passione e il talento vanno coltivati: bisogna leggere e studiare, prendere un po’ dagli altri scrittori già affermati, ma questo non vuol dire copiare. E c’è bisogno anche di un gran lavoro introspettivo. Una bella fatica».

Con quale tecnica scrivi i tuoi libri?

«Attingo molto dalla realtà, mi piace molto mischiare le storie che ascolto e quelle che vivo in prima persona. In fondo, anche in questa raccolta di poesie non faccio altro che raccontare delle storie».

Quali emozioni racconta “ I versi della carrozzella”?

«Le mie e quelle delle persone che sono nella mia vita o che ne hanno fatto parte. Racconta più di tutto il mio rapporto con le donne, sempre molto complicato, che ha prodotto, nel corso degli anni, alcune gioie e molti dolori. Poi racconta del mio rapporto con Napoli, anche questo molto contraddittorio. Infine, ci sono versi dedicati ad amici che non ci sono più. Diciamo che i pilastri su cui poggia questo libro sono quattro: amore, passione, ironia e rabbia».

Perchè dovremmo leggerlo secondo te?

«Fino a qualche giorno fa me lo chiedevo anch’io, poi, ascoltando le impressioni di chi ha già avuto modo di leggerlo, ho capito che questo libro può far arrivare alle persone (in maniera diretta, senza filtri) la difficoltà di vivere, al di là dei problemi pratici, per i disabili, ma anche la bellezza di riuscire ad andare avanti, nonostante tutto».

Quali sono le debolezze della nostra società nei confronti dei diversamente abili? E come si possono portare alla luce, secondo te?

«In Italia mi pare ci sia molta disattenzione, distrazione e, di conseguenza, ignoranza nei confronti della disabilità. Gli italiani sono poco abituati a convivere con l’handicap e solo chi ce l’ha in casa propria può capire l’entità del problema, gli altri enfatizzano o minimizzano, sbagliando in ogni caso. La verità è che se ne parla poco e male. Spesso i media si occupano di noi per raccontare il caso umano o per narrarne qualche impresa, mentre andrebbe raccontata di più la nostra quotidianità. Forse è quello che cerco di fare io».

Quali sono le nuove sfide che ti sei prefisso?

«Pubblicare un libro senza avere un editore alle spalle, costruirselo da solo pagina dopo pagina, è già stata una bella sfida. Adesso, però, è iniziata la parte più difficile: la promozione, farlo conoscere a quante più persone possibili. E ho capito che in questa fase non sono solo, ma ho il sostegno e l’aiuto concreto di molti amici. E questo mi fa molto felice. Vorrei che nei prossimi mesi “I versi della carrozzella” diventasse un piccolo caso letterario, l’esempio che anche senza grandi mezzi economici e senza avere alle spalle grandi strutture si può realizzare un sogno».

di Caterina Piscitelli

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui