danni-dello-zuccheroNAPOLI- Andrea, Fabrizio e Claudio sono tre fratelli di 19, 17 e 14 anni, costretti dalla nascita a fare i conti con una rara patologia, l’intolleranza ereditaria al fruttosio, che gli impedisce di mangiare qualsiasi prodotto che contenga zuccheri. Fin dai primi mesi di vita, due dei tre ragazzi hanno sviluppato una naturale quanto inconsueta avversione per tutti i cibi dolci. Il terzo, invece, ne amava il sapore e, dopo aver ingerito della crema pasticceria, è stato colto da una grave crisi. Da qui la diagnosi certa, Fruttosemia. L’intolleranza ereditaria al fruttosio è una malattia genetica, classificata come rara, di cui soffre un bambino ogni circa 30mila nati che impedisce a chi ne è affetto di metabolizzare il fruttosio. Se non individuata in tempo, può causare vomito, ipoglicemia, perdita di peso, epatomegalia, cirrosi e in alcuni casi il coma epatico, effetto collaterale che riguarda in particolar modo i neonati. Sono banditi dalla dieta dei fruttosemici non soltanto i dolci ma anche tutti gli ortaggi e le verdure, la frutta, i legumi, le bibite, gli insaccati e qualsiasi alimento inscatolato o preconfezionato. «In realtà il fruttosio si trova un po’ ovunque, persino nei prodotti per i diabetici e in alcune tipologie di pane e di pizza», spiega Bianca Martinelli, madre dei tre ragazzi ed oggi vicepresidente di AIF Onlus. L’associazione senza fini di lucro è nata 15 anni fa allo scopo di rendere migliore la vita di chi deve combattere quotidianamente con questa intolleranza attraverso attività di informazione, ricerca scientifica e sensibilizzazione delle istituzioni, delle società farmaceutiche e del settore alimentare e della ristorazione.

«I fruttosemici – racconta Bianca – devono gestire e seguire una dieta molto rigorosa, noi genitori elaboriamo ricette ad hoc cercando di stimolare i nostri bambini. Provo a non fargli mancare nulla, preparo ogni piatto escludendo l’uso di qualsiasi tipo di spezia o aroma, tutto deve essere fresco e mai preconfezionato». Gli adolescenti intolleranti al fruttosio tendono a sviluppare una sorta di anoressia latente, «più che altro è un vero e proprio disinteresse nei confronti del cibo. Il rischio aumenta quando i ragazzi si trovano costretti a mangiare solo pasta in bianco. Sta a noi genitori il compito di usare la fantasia ogni giorno, evitare che la loro dieta diventi troppo semplice e ridare loro uno stimolo ad alimentarsi». Sul sito di AIF, i volontari dell’associazione hanno aperto un forum in cui scambiarsi consigli su nuove ricette e sui medicinali che i fruttosemici possono assumere. Contengono fruttosio, infatti, anche numerosi medicinali, tutti quelli in forma liquida e non solo. «Le diagnosi sono in aumento e grazie a questo alcune case farmaceutiche stanno iniziando ad indicare sull’etichetta che il loro prodotto non è adatto ai frutto semici», afferma la vicepresidente di Aif. Questo problema riguarda anche il cibo perché se un alimento è incluso in un prodotto industriale in una misura inferiore al 2% non c’è obbligo di indicarlo sull’etichetta. «E’ importante accrescere la conoscenza della malattia per tanti motivi, in primis perché le case farmaceutiche inizino ad elaborare prodotti ad hoc per gli intolleranti al fruttosio e per debellare la morte in età neonatale. Prima che si scoprisse questa malattia, quando non c’era una diagnosi, ai bambini si dava miele o frutta grattugiata», alimenti che diventano un veleno per un neonato fruttosemico che può facilmente morire a seguito di un coma epatico.

«Per il bambino – racconta ancora Bianca – la difficoltà maggiore è il trattamento dell’emergenza perché non esistono farmaci pediatrici ad hoc e non c’è informazione tra i pediatri. Poi c’è la socializzazione, l’inserimento nella scuola dell’infanzia, il problema riguarda sia i genitori che i bambini che vedono i loro amichetti mangiare cose che loro non possono ingerire. Però, mentre i più piccoli si adattano grazie al surrogato preparato dalla madre, per agli adolescenti il discorso è più complesso. Uno dei miei tre figli per anni ha preferito non uscire con gli amici, era chiuso in casa perché non poteva mangiare o bere nulla con i suoi compagni. Anche la Cocacola, che i ragazzi amano tanto, contiene caramello. Eppure solo con un dieta corretta si può condurre una vita normale e preservare il proprio fegato. Una vita normale, come quella che conducono i miei figli, ma al prezzo di una serie di accortezze che a volte stravolgono la quotidianità».

AIF onlus, da 15 anni, si batte per garantire diagnosi sempre più precoci e tempestive, per evitare che il fegato dei fruttosemici si danneggi gravemente, e per garantire una uniformità di protocollo. «Nel 2016 – spiega la vicepresidente – vogliamo organizzare a Napoli  una riunione tra i dietisti e tutti i medici dei centri di riferimento delle strutture che in Italia seguono i nostri pazienti per favorire il confronto sul protocollo dietetico ed il follow-up dopo la diagnosi. E poi andiamo avanti per le famiglie, in molti ci hanno contattati tramite il web perché i loro figli lamentavano sintomi particolari, tipici dell’intolleranza al fruttosio. Si è arrivati alla diagnosi solo perché li abbiamo indirizzati verso centri specializzati. Oggi, impediamo a tutti loro di sentirsi soli».

di Nadia Cozzolino

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