Lo scorso novembre la Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, ha organizzato una tavola rotonda online con i difensori dei Diritti Umani per affrontare uno dei più grandi problemi del mondo occidentale: la produzione e riproduzione del razzismo e della discriminazione razziale.

Un lavoro che ha coinvolto nei mesi successivi, le maggiori organizzazioni europee impegnandole nel riconoscimento e nella discussione delle discriminazionei razziali e del razzismo agito dalle istituzioni e dalle stesse politiche migratorie, nei confronti delle donne e degli uomini di origine africana.

In vista della “Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale” la commissaria ha pubblicato un rapporto, attraverso il quale fa emergere la condizione materiale di subalternità in cui le/gli africane/i sono costrette/i a vivere nel mondo bianco, occidentale ed europeo in cui arrivano.

“Il razzismo e la discriminazione razziale contro le persone di origine africana rimangono un problema diffuso ma non riconosciuto in Europa. È ora di riconoscerlo e di adottare misure per combattere più efficacemente l’afrofobia”, afferma Dunja Mijatović all’interno del documento.

Stereotipi razziali, violenza razzista, racial profiling da parte della polizia e della giustizia penale, disuguaglianze sociali ed economiche, razzializzazione del lavoro, sistemi di screening IA utilizzati  in particolare per la profilazione preliminare dei/lle migranti in entrata, sono questi alcuni degli strumenti principali impiegati dall’Europa nel rapporto con chi considera altro/a e nella costruzione della differenza razziale.

È notizia di tutti i giorni che donne e uomini di origine africana vengono sistemicamente private/i della dignità e del godimento dei diritti umani perchè il colore della loro pelle è Nera e quindi, per il sentire comune, irrimediabilmente inferiore.

Si ripresenta con tutta la sua intersezionalità, o non è mai passata (?), la relazione gerarchica che segue la linea del colore della pelle riproponendo, in chiave moderna, quel rapporto coloniale Bianco-Nero, Padrone-Schiavo, Civilizzatore-Selvaggio che, culturalmente, vorrebbe autoassolvere e giustificare la brutalità poliziesca, la violazione dei diritti umani e la criminalizzazione dell’africano. È la Commissaria stessa, ad affermare che in Europa sono troppi “i casi e i modelli di violazioni dei diritti umani che colpiscono persone di origine africana, che non vengono adeguatamente presi in considerazione, anche quando attestati in modo affidabile. Vengono spesso deviate o ignorate e non condannate pubblicamente”.

 È proprio il mancato riconoscimento nel dibattitto politico e pubblico delle sue dimensioni e correlazioni storiche, del suo aspro sapore coloniale, a reiterarlo e normalizzarlo fino a legittimarlo all’interno della sfera pubblica e del sentire comune.

“L’afrofobia è collegata alle strutture repressive del colonialismo e dello schiavismo transatlantico”, ribadisce la Commissaria, così come si era già pronunciato in passato il Parlamento europeo.

È necessario definire la costante percezione del nero/a come minaccia per il mondo bianco come “Afrofobia” che, è collegata alle strutture di dominio del colonialismo. Una paura per la pelle nera affrontata, ancora oggi e ancora una volta, attraverso la violenza e l’inferiorizzazione di chi bianco non è. Un’Europa che continua a riprodurre il suo passato coloniale, rendendolo terribilmente e brutalmente presente. Rifiutare che il colonialismo è costituente della modernità e che è centrale alla costruzione del presente non significherebbe negare che il razzismo esiste? Eppure il razzismo esiste!

Testo e Foto: Emanuela Rescigno