cascineMILANO – Milano terra di cascine. Non si direbbe, soprattutto ora che l’avveniristico skyline disegna il suo nuovo volto. Eppure è così: ce ne sono 59. Tutte di proprietà del Comune. Sparse per le periferie, mortificate da casermoni e tangenziali, ma ancora vive e in attesa di rinascita Un patrimonio storico-architettonico da salvaguardare. Di queste 59, 13 hanno mantenuto una funzione agricola, dieci sono strutture di accoglienza, 12 sono sedi di uffici pubblici, due ospitano un servizio di ristorazione e sei sono già in mano ad associazioni. Ne rimangono 16. A gennaio l’amministrazione ha avviato un’indagine conoscitiva (termine esatto: manifestazione d’interesse), chiedendo ai milanesi di esprimere idee per riportarle in vita Non si aspettava una partecipazione così elevata: ottanta progetti sulle scrivanie dei tecnici in due mesi.
Il problema, come sempre, sono i fondi. La giunta non li ha Per questo si rivolge ai privati e promette concessioni a lungo termine, si parla di go anni, e affitti calmierati in cambio della ristrutturazione. All’indagine hanno risposto associazioni ed enti con bellissime proposte sui temi dell’abitare leggero, dell’agricoltura di prossimità, del sociale di quartiere e con interessanti iniziative di taglio culturale. Ma con pochi soldi in saccoccia E a breve, forse a giugno, partiranno i primi bandi. L’associazione Cascine Milano, che da anni tallona stretto il Comune e ha collaborato all’indagine, intravede una via d’uscita. «I costi di recupero sono alti a causa dei vincoli architettonici ammette il presidente Umberto Zandrini – difficile scendere sotto i 18oo euro al metro quadro. Farcela da soli, quindi, è quasi impossibile, la chiave vincente è il lavoro in rete».
Si profila un quadro interessante: il bene gestito da soggetti forti ma condiviso con realtà più piccole. Fra le cascine comunali già recuperate e restituite alla città fa scuola la Cuccagna. La cascina non ha terra, solo una corte e un giardino, ma ha una posizione privilegiata: immersa nel tessuto urbano, fa capolino fra le case e i negozi di Porta Romana. Nella struttura, che ospita un negozio bio, un ristorante -bar e cooperative sociali, ogni giorno ci sono attività. Molte in mano al volontariato. «Siamo partiti in cinque, ora in mailing abbiamo quattrocento indirizzi», racconta Enrica Brambilla di Baramapà, gruppo messo in piedi da genitori del quartiere per promuovere iniziative per bambini. Poi c’è il gruppo di lettura Porte Aperte, l’immancabile plotone di contadini urbani che segue l’orto e il Punto Incontro, luogo strategico dove ottenere informazioni e candidarsi.
Più rurale Cascina Campazzo, a poca distanza da piazza Abbiategrasso, sede di un’azienda zootecnica. La cascina rientrava in un piano di urbanizzazione: a salvarla, dopo un braccio di ferro durato venti anni, il comitato «Parco Ticinello», formato da abitanti del quartiere. Con orgoglio il presidente Giuseppe Mazza racconta che è diventata «un importante luogo di incontro e aggregazione».
Trentadue anni ci sono invece voluti all’Associazione Amici Cascina Linterno per fermare le ruspe. Una lotta feroce, ma ora c’è la rivincita. Dopo la firma del contratto di gestione, i volontari hanno aperto le porte al Politecnico che ha scelto l’ex dimora estiva del Petrarca come modello-pilota di ristrutturazione. Guidati dal presidente Gianni Bianchi spingono ora lo sguardo in avanti e immaginano un museo contadino e gite in carrozza nel Parco delle Cave. E’ quello che in parte già succede a Cascina San Giacomo, a Nocetum: il casale è al limite della città, sospeso fra i palazzi del Corvetto e il parco della Vettabbia, antica Valle dei Monaci. Dove ora i volontari promuovono escursioni.

Marta Ghezzi per il Corriere della Sera

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