elezioni politicheNAPOLI – In una democrazia rappresentativa vince chi prende almeno un voto in più dell’avversario. Ergo il risultato non dipende dal numero dei votanti ed è valido e da riconoscere in ogni caso. Fatta questa dovuta premessa, non si può non tenere conto del dato napoletano sull’affluenza al voto per i ballottaggi. Il 35,98% dei votanti è un dato impressionante e preoccupante, tanto più perché l’astensionismo è spesso ancor maggiore nei quartieri più popolari della città, dove le persone, in condizioni di sempre maggiore disagio sociale, si disinteressano ormai in massa della politica. Quando quasi due terzi degli elettori rinunciano al loro diritto di voto, il rischio concreto, a mio avviso, e che la città si trasformi in un luogo governato da una élite sostenuta da un’élite.

Un rischio che in realtà questa città corre da sempre.

A Napoli c’è una concezione distorta della partecipazione. Facciamo l’esempio degli spazi occupati. Credo che sia un atto politico importante denunciare il degrado e l’abbandono di strutture pubbliche, ed abbia un senso anche l’occupazione temporanea per dar forza a questa denuncia. Ma quando le occupazioni diventano stabili, diventano un’appropriazione comunque privata, anche quando fatte con le migliori intenzioni, e parlare di “restituzione della struttura al popolo” è incorretto e strumentale. Restano sempre atti di élite a beneficio di un numero limitato di persone. E il sostegno incondizionato che questa amministrazione, più di altre, ha dato a questi fenomeni non ha aiutato i cittadini a sentirsi meno esclusi.

Ci sono altri strumenti più veri ed efficaci di partecipazione democratica che si potrebbero sperimentare. Ad esempio il bilancio partecipativo.

Il bilancio partecipativo è “uno strumento, come il nome stesso suggerisce, per promuovere la partecipazione dei cittadini alle politiche pubbliche locali e, in particolare, al bilancio preventivo dell’ente cioè alla previsione di spesa e agli investimenti pianificati dall’amministrazione”. In parole povere un’amministrazione stanzia una certa cifra e la mette a disposizione, in genere con un vincolo di settore di utilizzo, ed i cittadini, attraverso un percorso strutturato e definito, decidono quale utilizzo farne attraverso assemblee pubbliche, progettazione e presentazione di proposte e votazioni delle stesse.

In alcune città italiane questi percorsi sono stati fatti con successo: perché non provare anche da noi? Magari nelle Municipalità, che sono quelle più vicine ai cittadini, e partendo da piccole cose (e piccole cifre). Sarebbe un esempio di come i cittadini possano scegliere democraticamente su cose che li riguardano, senza essere relegati in un limbo tra un’elezione e un’altra, o peggio tirarsi fuori anche da quelle. Si potrebbe fare anche con alcune strutture del Comune, facendo progettare e decidere ai cittadini il tipo di utilizzo farne a scopi sociali. Recuperare il coinvolgimento dei cittadini su questioni come queste aiuterebbe certamente a recuperarne la fiducia nella politica e nella gestione delle amministrazioni. Poi non è detto che alle prossime elezioni voteranno proprio te, ma che la gente torni a votare dovrebbe essere interesse (sincero) di tutti.

Altrimenti non faremo che riproporre ennesime “rivoluzioni” elitarie che a Napoli hanno sempre fallito.

 

di Marco Ehlardo

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