PADOVA. L’Ospedale di Padova ha deciso di abbandonare gli schemi tradizionali, innovando il proprio regolamento interno. In che modo? Riconoscendo i genitori omosessuali con un apposito braccialetto. Questa la novità per l’anno nuovo che vedrà, così, sostituire i tradizionali braccialetti identificativi con dei braccialetti più attuali: uno per il neonato, uno per la madre e uno con una scritta generica “partner”. Per molti anni anni, infatti, il neonato veniva fornito di un braccialetto con un numero identificativo. Lo stesso numero era presente sul braccialetto della madre.
IL CASO. L’esigenza di modificare le regole, si è presentata qualche mese fa quando la mamma di un bambino ha dichiarato che l’altro genitore era, in realtà, una donna. « Non si può più ragionare in modo tradizionale- commenta il direttore del reparto di ostetricia, Giovanni Battista Nardelli – Abbiamo preso questa decisione per non offendere la sensibilità di nessuno». Da qui infatti, la conclusione da parte di Nardelli di attuare delle pratiche e modelli organizzativi molto più moderni, affinchè la clinica possa ottenere la nomina di “ospedale amico delle mamme”.
TECNICHE ALL’AVANGUARDIA . La nascita del bimbo della coppia omosessuale, è stata resa possibile attraverso la tecnica della fecondazione eterologa, attualmente vietata in Italia e praticabile solo all’estero. Al momento del parto, medici e infermieri non hanno rivolto alcun tipo di domanda alla donna, concentrandosi sulla nascita del bimbo. « Gli infermieri non possono chiedere continuamente i documenti al padre- spiega Nardelli- per questo è necessario il braccialetto. Per una questione di sicurezza. La novità- conclude- è che gli ostetrici ora non cercano più il papà ma, più in generale, il partner.». Durante una conferenza stampa, Nardelli ha inoltre dichiarato che sono numerose le coppie gay a far uso di tecniche di fecondazione assistita. « Solo nello scorso anno, spiega- presso l’ospedale di Padova, sono stati 388 i casi, 306 prelievi ovocitari e 267 i trasferimenti embrionali».
di Sabrina Rufolo