senza_sbarreNAPOLI- Una campagna di sensibilizzazione per porre l’attenzione sulla condizione psicofisica, affettiva e sociale dei circa 100.000 bambini che in Italia, ogni giorno, entrano nelle carceri, per incontrare i genitori detenuti. E’ l’iniziativa dell’Associazione “ Bambini senza sbarre”, che da oltre 10 anni cura, tutela, e difende il diritto al legame affettivo dei minori che hanno una madre o un padre in regime di detenzione.  “ Non un mio crimine, ma una mia condanna”, lo slogan della raccolta fondi, che ha visto anche la realizzazione di una petizione – circa 11.000 firme-  destinata al Presidente della Repubblica e al Ministro della Giustizia, con la quale si è chiesto di creare la possibilità per questi bambini di vivere momenti di condivisione, con la propria famiglia. Dal Natale ai compleanni, passando per il primo giorno di scuola al  ritiro della pagelle. «E’ un segnale importante per la società civile – sottolinea Lia Sacerdote, Presidente di Bambinisenzasbarre, si tratta di cambiare prospettiva, di mettersi dalla parte dei bisogni dei più piccoli e non dai limiti giuridici dei genitori detenuti. Non si può perdere di vista l’aspetto psico-affettivo del bambino che ha il diritto, secondo l’articolo 9 della Carta ONU sui diritti del fanciullo, ad intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori. Bisogna avviare, un processo di integrazione sociale e, più in generale, un profondo cambiamento culturale». La questione riguarda anche i minori costretti a viverci dietro le sbarre.
IL PUNTO DI VISTA DELL’ESPERTO- «Parlare di bambini reclusi – afferma Franca Dente, ex Presidente del Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali ed esperta in Politiche Sociali- fa venire i brividi. Come fa a crescere un bambino piccolo, al di sotto dei tre anni, in un ambiente ristretto, affollato, grigio, con un continuo stridio di cancelli che si chiudono? Basta immaginarsi bambini che sgambettano, gattonano, giocano in pochi metri quadrati umidi, con bagni malsani, puzzolenti, con pochi giocattoli. Ce lo chiediamo da anni. Sono 70 i bambini presenti nelle carceri Italiane, che hanno la necessità, ma anche il diritto  di stare vicino alla propria  mamma, ma poco è l’attenzione che si rivolge alla loro condizione. Perché non è possibile- continua Dente-  prevedere soluzioni alternative, garantire ambienti più idonei ad una vita più vicina ad un clima familiare, riservato, intimo? Perché è difficile organizzare uno stretto collegamento tra l’istituto penitenziario e le strutture educative esterne? Attualmente sono circa 2600 le donne carcerate  e pochi sono gli Istituti penitenziari che prevedono  al loro interno ambienti più idonei  ad accogliere e favorire l’incontro tra bambini e padri e madri detenute/ti. Un ambiente accogliente, gioioso, aiuta la relazione genitoriale, distende il clima punitivo degli istituti penitenziari, attenua la distanza tra la vita interna e la vita fuori dalle mura. Se viene assicurato il diritto a stare accanto alla propria mamma (almeno sino a tre anni), quanti altri diritti sono loro negati ?. Il diritto al gioco, il diritto alla socializzazione, il diritto di una vita all’aperto, di una vita di relazioni con le altre figure parentali. La comunità- conclude l’ex presidente degli Assistenti Sociali- non può lasciar correre, ma deve interrogarsi per accelerare una riflessione seria e un intervento tempestivo».

di Carmela Cassese

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