Il futuro dei beni confiscati alle mafie, il loro destino appeso tra riqualificazione o oblio, torna ciclicamente d’attualità quando si riesce ad inaugurare un progetto virtuoso di recupero di un immobile. È il caso di Torre Annunziata dove è stato inaugurato l’albergo “Libera gioventù, luogo di incontri, culture, memorie e ricerche”, rivoluzionando completamente Villa Cesarano, la casa alla periferia della città, a due passi da Pompei, appartenuta a parenti del capoclan di Castellammare di Stabia Ferdinando Cesarano, che in quella villa ha trascorso un periodo della sua latitanza. Un sassolino nel mare ampio di beni in disuso nella città oplontina, molti dei quali ancora nelle mani di coloro a cui lo Stato li avrebbe sottratti con la confisca.

«Quello che mortifica, forse più di tutto, è il confronto tra la legge e la sua applicazione pratica». Il commento di Renato Briganti, professore di istituzioni di diritto pubblico all’Università Federico II di Napoli, presente all’inaugurazione dell’ostello. «Credo che quella che abbiamo in Italia sui beni confiscati sia una legge virtuosa. Proprio recentemente, infatti, il governo olandese l’ha praticamente copiata per fronteggiare il fenomeno mafioso e terroristico interno al paese. La normativa c’è, il bisogno è che funzioni lo stato di diritto». Ha spiegato il docente universitario, aggiungendo: «Lo Stato vince quando il bene rivive, non quando sequestra e confisca. C’è la necessità di questo passaggio ulteriore. Spesso, poi, ci ritroviamo beni assegnati ma che restano di fatto inutilizzati».

Da tempo è aperta la questione sulla possibile vendita dei beni confiscati alle mafie, rimettendoli sul mercato così che lo stato italiano possa battere cassa. «Chi li comprerebbe?» La domanda retorica di Briganti, che risponde: «Questo sarebbe un modo per farli tornare nelle mani di coloro a cui sono confiscati».

Ma il meccanismo della confisca e del riutilizzo non funziona, così come è stato concepito. Secondo il professore della Federico II, i nodi da sciogliere sono 3: «Occorre una stretta sinergia e collaborazione tra lo “Stato apparato”, le forze dell’ordine e la magistratura, e lo “Stato comunità”. Da sole non risolvono il problema». Il secondo problema, secondo Renato Briganti, è quello che attanaglia maggiormente la vita pubblica, non solo la riqualificazione dei beni confiscati: «La burocrazia italiana uccide. Sicuramente ci protegge da abusi di potere, ma a volte passano mesi ed anni per spostare un plico da un ufficio all’altro. Infine, c’è un problema manageriale con le associazioni. Non basta avere le chiavi di un immobile – ha concluso Briganti – bisogna avere la capacità di gestirlo».

di Raffaele Perrotta

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