“Mai come in questo momento bisogna aprirsi, includere, integrare ed è per questo che non ci fermiamo mai. Abbiamo iniziato con le visite per i non vedenti, abbiamo poi collaborato con l’ENS formando guide sorde che grazie alla Lis comunicano in maniera diretta con chi conosce questa lingua. Sono state esperienze così emozionati che abbiamo deciso di continuare su questa strada e grazie a ‘Sansevero in blu’ avremo un percorso speciale per persone con disturbo dello spettro autistico (DSA)”. E’ chiaro il messaggio di Maria Alessandra Masucci, consigliere d’amministrazione del Museo Cappella Sansevero di Napoli, uno dei luoghi più mistici e affascinanti della città. “Al MuseumNext di Londra – ha raccontato la Masucci – abbiamo ascoltato una mamma che, partendo dalla sua esperienza personale, aveva realizzato dei percorsi specifici per ragazzi autistici in tanti musei londinesi. Così dal colpo di fulmine di quella storia straordinaria ci siamo messi a lavoro e abbiamo creato un progetto ad hoc”. L’iniziativa, interamente finanziata dal Museo Cappella Sansevero, è nata dalla collaborazione con la cooperativa sociale “Il Tulipano”, che a sua volta si avvale del contributo scientifico del Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali dell’Università Federico II, del Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II e del Dipartimento di Scienze motorie e del benessere dell’Università Parthenope, ed ha lo scopo di realizzare attività per persone con disabilità cognitiva. “Tra maggio e giugno – ha spiegato la Masucci – è partito lo studio con la Federico II e la Parthenope, poi abbiamo formato il personale del museo. Abbiamo creato un kit di supporto alla visita, un’agenda visiva, che sperimenteremo sul campo. Nei prossimi mesi infatti capiremo se e come migliorare il percorso che abbiamo approntato. Con la Cooperativa Il Tulipano abbiamo organizzato tre visite con ragazzi con DSA, tra gli 8 e i 18 anni, insieme a genitori e fratelli, così da poter aprire le porte del museo a tutti tra gennaio e febbraio 2020”. “Non esistono solo barriere architettoniche – ha concluso la Masucci – dobbiamo migliorare i nostri servizi per combattere le barriere cognitive. Rivoluzioniamo l’idea classica di museo come luogo chiuso, affinché la cultura diventi il collante per crescere e conoscere”.

di Mariangela Barberisi