BOLOGNA. Sono tanti i negozi gestiti da stranieri in città. Molti di loro arrivano dal Pakistan e dal Bangladesh e hanno sostituito i commercianti italiani nella gestione degli alimentari. “Piazza Grande” li ha incontrati e ha scoperto un modello imprenditoriale mutuato da altri Paesi, fatto di famiglia e comunità, che a Bologna deve fare i conti con ordinanze e chisure anticipate e con la concorrenza dei supermercati che cominciano a spuntare anche in centro. Se ne parla in “Altro mercato”, l’inchiesta del numero di novembre del giornale dei senza dimora. “Piazza Grande”, in un articolo di Angelica Erta, dà la parola ai diretti interessati per scoprire che le preoccupazioni di un commerciante pakistano non sono diverse da quelle di un bolognese. “Io ho famiglia, alle 22 le serrande le abbasserei comunque – dice A. – Appena aperto ho chiamato la polizia più di una volta, poi ho capito come funziona. Noi paghiamo l’iva fino all’ultimo centesimo”. Tasse, contributi ai dipendenti, un ginepraio di contratti di lavori e debiti con le banche e per resistere bisognare lavorare 12 ore al giorno preferibilmente tenendo tutto in famiglia.
Dall’altra parte sono tanti i ragazzi che lavorano come semplici operai per i connazionali, a cifre molto spesso irrisorie, alcuni di loro arrivano a 10 o 12 ore al giorno di fatica per 300 euro al mese, vitto e alloggio compresi. Partiti col sogno della ricca Europa, fanno i conti con una realtà dura. Igor Sartoni ne ha intervistati alcuni tra i negozi del centro. Per capire l’origine e lo sviluppo del fenomeno Leonardo Tancredi intervista l’antropologo Bruno Riccio, mentre Nicola Zanarini ha chiesto a un bolognese appassionato di cibo e culture lontane come Patrizio Roversi come i cosiddetti “pakistani” hanno cambiato i nostri consumi.

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