NAPOLI – Alcune di loro sono a Napoli da anni e non sanno neppure che qui c’è il mare. Sono giovanissime, spesso hanno appena quindici o sedici anni: arrivano nel nostro Paese con debiti enormi da restituire ai trafficanti – che oscillano tra 35mila e 60mila euro – e vengono buttate in strada, ridotte ad un corpo da mettere in vendita. Il dramma delle ragazze nigeriane vittime della tratta ai fini dello sfruttamento sessuale sta assumendo dimensioni impensabili fino a pochi mesi fa: nel 2016, secondo l’Associazione Internazionale per le Migrazioni, ne sono entrate in Italia oltre 10mila, mischiate ai flussi dei richiedenti asilo che fuggono da povertà e guerre. Da anni la cooperativa sociale Dedalus è capofila del progetto “Fuori Tratta” – finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità – e opera per arginare questa schiavitù dei nostri giorni, che colpisce non soltanto le donne costrette a prostituirsi, ma anche quanti vengono sfruttati per accattonaggio forzoso, lavoro para-schiavistico, attività illegali. Un percorso costellato di successi e difficoltà, di cui si è parlato il 20 marzo durante il seminario “Squarci… di futuro”, alle Officine Gomitoli di Piazza Enrico De Nicola, una delle sedi operative della cooperativa.
Dalla strada alla costruzione dell’autonomia – Il primo contatto parte dalla strada, come raccontano le due mediatrici culturali di Dedalus, Blessing Orowe, nigeriana, e Carmen Farauanu, di origine rumena, che hanno un ruolo delicatissimo e fondamentale: «Andiamo in strada – dice Carmen – innanzitutto per fare prevenzione sanitaria. Poi per dare alle ragazze informazioni di vario tipo: in molte non conoscono la lingua, il territorio, i servizi». «Quando scendo dal camper mi siedo proprio vicino a loro, nel posto dove lavorano, per non sentirmi diversa – aggiunge Blessing –. Diamo il nostro numero di telefono, offriamo caffè o the, facciamo complimenti. Quando le portiamo a fare le visite cominciano ad avere fiducia in noi e a raccontare la propria storia». Le tappe successive sono l’accoglienza e l’accompagnamento verso la costruzione dell’autonomia, attraverso il rafforzamento delle competenze necessarie per trovare un lavoro e l’assistenza legale per ottenere il permesso di soggiorno o lo status di protezione internazionale.
Una situazione di emergenza – «Fuori Tratta non si occupa soltanto dello sfruttamento a fini sessuali e non solo dello sfruttamento a fini sessuali che riguarda le donne nigeriane. Se però oggi abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione su questo tema è perché ne sentiamo proprio l’urgenza – spiega Enrica Di Nanni, coordinatrice del progetto –. Da settembre scorso abbiamo fatto circa 120 colloqui con donne e ragazze nigeriane e più di 50 accompagnamenti sociosanitari. Al momento seguiamo una settantina di donne e ragazze, di cui 30 sono accolte direttamente nelle strutture che fanno capo al progetto, le altre in strutture che fanno riferimento al sistema della protezione internazionale, nei centri Sprar o Cas». Attualmente la situazione che gli operatori stanno affrontando è di vera e propria emergenza: «Qui si presentano ragazze con la valigia che ci chiedono accoglienza e i posti che noi abbiamo a disposizione sono occupati. In molte sono incinte e l’accoglienza per loro non può esaurirsi in poco tempo». Nella casa rifugio di Dedalus per le vittime di tratta attualmente «abbiamo quattro donne, di cui tre in articolo 18 e una con richiesta di asilo – sottolinea la responsabile dell’area accoglienza della cooperativa, Tania Castellaccio –, e tutte sono in stato avanzato di gravidanza. Ciò fa sì che i tempi dell’accoglienza non siano coerenti con i loro bisogni, perché quando una donna arriva al settimo mese senza un documento le questioni da affrontare sono tantissime», a cominciare dall’accesso al sistema sanitario, fino al «problema di coloro che devono partorire e non hanno ancora un documento di riconoscimento. È un lavoro che non può essere assolutamente fatto in quattro o sei mesi».
Necessaria la sensibilizzazione a tutti i livelli – Secondo Roberta Gaeta, assessore al Welfare del Comune di Napoli, contro la schiavitù della tratta «il sistema di alleanze è fondamentale» e sono necessarie «azioni di contrasto e di sensibilizzazione a tutti i livelli. C’è una parte su cui vorrei che ci impegnassimo insieme che è la parte dei clienti, di quel mercato che evidentemente produce una domanda». E poi bisogna evitare «la separazione netta, la condanna, il giudizio, il sentirsi salvi perché si è distanti. L’esperienza che stamattina abbiamo condiviso va condivisa in maniera molto più ampia» perché si capisca che questa realtà fa parte della nostra società.

di Paola Ciaramella

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