NAPOLI – Il 31 gennaio 2017 l’attività trapiantologica pediatrica del cuore del Monaldi, punto di riferimento del Sud Italia, viene fermata ufficialmente per 1 anno dalla delibera 101 in cui si legge che “non ci sono al momento le condizioni per creare l’indispensabile collaborazione tra il Centro Trapianti e la Cardiochirurgia Pediatrica”. Nel frattempo, forse anche a causa di questa perdurante “mancata collaborazione”, dal 2014 sono morti ben 8 bambini.
La risposta istituzionale giunge dopo 2 anni di solleciti e lotte del Comitato dei Genitori dei bambini trapiantati di cuore e in attesa di trapianto, affiancati poi da Federconsumatori Campania. Genitori e associazioni denunciano “l’inaccettabile numero di decessi che sta accompagnando l’attività trapiantologica pediatrica presso l’Azienda Ospedaliera Specialistica Dei Colli dal 2014, dato di per sé indicativo di un malfunzionamento del servizio”.
Cercheremo di ripercorrere tappa per tappa questa vicenda che sembra uno degli emblemi della cosiddetta “Mala Sanità” in Campania, ancora privo di risposte chiare.
Per la Legge Regionale n. 4 del 1994, il Monaldi è un CER, Centro per le emergenze regionali per “trapianti cardiaci ed urgenze cardiologiche e cardiochirurgiche complesse adulte e pediatriche”, nei fatti è l’unica struttura a Sud di Roma deputata ai trapianti di cuore pediatrici e all’assistenza specializzata dei bambini in attesa di trapianto e nella delicata fase del post trapianto (a parte l’Ismett di Palermo che, come vedremo, ha fatto pochissimi interventi pediatrici negli ultimi anni).
I primi impianti di cuore nei bambini a Napoli sono stati effettuati all’inizio degli anni 2000 e il Monaldi si è dimostrata una struttura d’eccellenza sia per gli interventi sia per l’assistenza post operatoria come dimostrano i dati relativi ai trapianti tracciati dal Sistema Informativo Trapianti (SIT) che sulla base di 13 schede di follow up post trapianto di minori trapiantati al Monaldi ha calcolato il tasso di sopravvivenza del 92,3% negli anni 2000/2013. Il tasso di sopravvivenza a un anno del 92,3% è elevato se confrontato con quelli degli altri 14 ospedali che hanno realizzato interventi pediatrici dove si va dai 103 follow up del Bambin Gesù (con il 92% di sopravvivenza) ad un solo follow up del San Camillo Forlanini di Rimini (100% di sopravvivenza), tenendo conto che 8 strutture su 19 in quegli anni hanno realizzato meno di 13 trapianti di cuore infantili come l’Ismett di Palermo con sole 3 schede di follow up o il Santa Maria della Misericordia di Udine con sole 2 schede in 13 anni. Se invece consideriamo le schede di follow up racconte dal SIT degli interventi di trapianto di cuore totali (adulti più bambini) effettuati tra il 2000 e il 2013 il Monaldi con 392 trapianti è al terzo posto per numero di trapianti in Italia dopo il San Matteo (PV) e il Sant’Orsola Malpighi (BO).
Ovviamente ogni trapianto è un caso a sé, ma è scientificamente provato che l’assistenza pre e post trapianto risultano fondamentali per garantire la sopravvivenza ed evitare il rigetto.
Intanto il Monaldi era balzato agli onori della cronaca un paio di anni prima proprio per un’operazione miracolosa a Simon, che aveva meno di 2 anni quando fu operato dagli esperti di trapianto e che oggi ne ha 5.
Nel reparto di cardiochirurgia del Monaldi ci sono alcuni medici capaci, oltre che di trapiantare il cuore ad un bambino piccolo, di adoperare la “berlin heart”, la macchina berlinese cui viene attaccato il sottile filo della vita di chi ha bisogno di un cuore nuovo.
Rosalba Pagano mamma di Imma, trapiantata a sette anni e mezzo per una cardiopatia dilatativa racconta: “Mia figlia è entrata al Monaldi per una cardiopatia dilatativa nel 2012 ed è uscita nel 2014, è stata 16 mesi attaccata alla berlin heart. Nel dicembre 2013 è stata trapiantata dall’equipe del primario Caianiello (oggi in pensione) formata tra gli altri dai cardiochirurghi Fabio Ursomando e Andrea Petraio entrambi esperti di trapianti. I medici sono stati vicini a mia figlia giorno e notte: si alternavano alla berlin heart per non lasciarci soli. Mi sono fidata di lui perché avevo la testimonianza di Simon”. Dal 2014 tutto cambia: Vincenzo (13), Francesco (2), Alessia (15), Barbara (11), Martina (2), Irene (2), Antonio (13), Alessia (15) non ci sono più. Li chiamano angeli: il loro volo sulla terra è stato breve. Ogni caso andrebbe valutato a seconda della sua complessità ed è noto che il trapianto su un cuore con una malformazione congenito è il più rischioso, così come è più rischiosa la degenza, tuttavia, “Come è possibile che tutti i bambini siano morti prima o dopo il trapianto?” denuncia il Comitato dei Genitori dei trapiantati di cuore e trapiantati adulti.
“Negli ultimi 2 anni c’è stato un netto peggioramento dell’assistenza nel pre e post trapianto- racconta Dafne Palmieri portavoce del Comitato dei Genitori dei trapiantati di cuore e trapiantati adulti, mamma di Massimo che al momento dell’operazione aveva 12 anni e oggi ha 15 anni. Episodi di accesso negato al ricovero, immissione tradiva in lista, mancanza di un protocollo specifico per i bambini trapiantati che necessiterebbe un accesso privilegiato di pronto soccorso”.
“Mia figlia Imma a novembre 2016 è stata male- ricorda Rosalba Pagano- ed è stata 5 ore nel corridoio con la febbre a 40 ed è dovuto arrivare il direttore sanitario per imporre il ricovero”.
 

di Alessandra del Giudice

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui