NAPOLI- Memoria e conflitto sono termini imprescindibili per il lavoro di pace. Per quanto questa affermazione possa sembrare singolare o paradossale, basta porre mente al retaggio delle memorie, individuali e collettive, ai fini della definizione delle identità sociali e culturali ed al carattere dinamico del conflitto,
nell’articolazione della complessità sociale e comunitaria, per farsi un’idea dell’aspetto decisivo del “lavoro culturale” nell’azione di prevenzione della violenza e di trasformazione dei conflitti. “La pagina in comune”, di Gianmarco Pisa edizioni Ad Est dell’Equatore, è un tentativo e una scoperta per quanti intendano approcciare, in modo non banale e non retorico, lo sforzo della ricomposizione e della riconciliazione, a partire, quali territori di implementazione e “luoghi della memoria”, dai Balcani e, in particolare, dal Kosovo e da Mitrovica, nell’ambito del progetto per “Corpi Civili di Pace”.
Gianmarco, qual è la sua formazione e come nasce l’interesse personale per i temi della cooperazione internazionale e per il lavoro internazionale volto alla risoluzione pacifica dei conflitti?
Lo sfondo del volume, “La Pagina in Comune”, è proprio quello della risoluzione pacifica o, in altri termini, della trasformazione costruttiva dei conflitti. Il tema della cooperazione internazionale è decisivo, soprattutto se lo si concepisce e lo si interpreta in termini di cooperazione tra territori e comunità, come esperienza di costruzione di legame, di mutuo beneficio e di reciproco arricchimento. Non dimentichiamo che “La Pagina in Comune” muove da una ricerca-azione in un contesto di post-conflitto, il Kosovo, nei Balcani, dove l’azione di cooperazione internazionale può essere tra gli strumenti più utili per costruire ponti e tessere relazioni capaci di fuoriuscire dalla “logica” della violenza e per condividere strumenti di conoscenza e di apertura, veri antidoti alla violenza diffusa.
Cosa s’intende per memoria collettiva e perchè risulta essere il primo passo per la risoluzione dei conflitti?
“La Pagina in Comune” si basa su una ricerca-azione, che è la modalità per noi più congeniale per indagare le matrici del conflitto e le opzioni della sua trasformazione. Quando parliamo di trasformazione costruttiva, infatti, non si presume che il conflitto possa essere “estinto”, ma si agisce perché le contraddizioni sociali o etno-politiche possano essere affrontate e sviluppate in modo da non sfigurare, anzi rigenerare, il tessuto della convivenza. La memoria collettiva, in questo senso, è un campo di azione poco esplorato ma molto importante. Essa è come una narrazione collettiva, un patrimonio condiviso, intorno a cui una comunità si riconosce in quanto tale, ma che spesso viene anche strumentalizzato per scopi identitari o nazionalistici. Può quindi fornire elementi utili, sia per indagare la percezione che una comunità ha di sé stessa e del conflitto che attraversa, sia per individuare elementi di legame o di connessione, appunto, le “pagine in comune” della storia.
Ci può raccontare qualche esempio concreto della sua esperienza di operatore in cui si è toccato con mano l’avviamento alla trasformazione?
Le occasioni di incontro tra persone appartenenti a gruppi “nemici” per affrontare le questioni del conflitto e interrogarsi sui problemi quotidiani, che riguardano la vita di tutti. L’individuazione di luoghi che tutti, a prescindere dalle divisioni etniche, ritengono importanti per la memoria collettiva del contesto, quale elemento di legame o, più semplicemente, di comunicazione e di relazione. Indagare le percezioni che si hanno del proprio conflitto e della propria situazione, e scoprire che possono non essere così distanti. Percepire il dolore che, durante il conflitto, è stato di tutti e condividere le difficoltà che, nel post-conflitto, colpiscono tutti. Si tratta, appunto, solo di un innesco, tuttavia importante, per rendere praticabile la lunga strada della convivenza.
di Caterina Piscitelli