elezioni politiche NAPOLI – “Siete davvero tantissimi candidati alle elezioni, in bocca al lupo a tutti. Ma non posso fare una promessa ad ognuno. Anche perché se facessi promesse a tutti il candidato sarei io”. E’ un post che ho fatto su Facebook in cui, cercando come sempre di ironizzare, mi sono posto un problema: come sopravvivere da qui alle elezioni?

Dieci candidati Sindaco, decine di liste per il Consiglio Comunale con circa 1.400 candidati, e migliaia di candidati alle Municipalità. In pratica ci si ritrova almeno un candidato in ogni condominio. Difficile, dunque, non conoscerne personalmente almeno uno. Ma in un periodo come le elezioni scopri sempre di conoscere (o meglio di essere improvvisamente conosciuto da) un numero sorprendente di candidati e di loro parenti o amici.

Cosa rispondere, allora, a tutti quelli che ci chiedono il nostro voto?  Innanzitutto, ovviamente, che il voto è solo uno. In realtà anche due, se si esprime doppia preferenza per un uomo e una donna, ma questo non risolve il problema. E poi resto convinto che il voto non vada alla persona, ma alle idee ed al progetto politico, e su quello la situazione diventa più fumosa. Su queste pagine tempo fa posi tre quesiti ai candidati a Sindaco ed eventualmente ai candidati al Consiglio Comunale che volessero rispondere. Silenzio.  Allora sulla base di cosa dovremmo decidere? Degli slogan elettorali? Sulla base, ad esempio, di un “con me Napoli sarà migliore”? Non ho mai sentito un candidato dire “con me Napoli sarà peggiore”. Se lo facesse forse lo voterei, magari è onesto.

 Altro problema delle elezioni (locali o nazionali che siano) è lo stato di dissociazione mentale che causano. Senti il candidato X dire che la città (o regione, o nazione) è diventata la migliore del mondo, e a seguire il candidato Y che dice che invece è la peggiore. Senza vie di mezzo.  Poi senti il candidato Z, che fino al giorno prima era in maggioranza e diceva che la città era un paradiso, poi cambia casacca e dal giorno dopo dice che è un inferno. O viceversa. Quello, almeno, è l’unico che mi dà una certezza: non votarlo. Insomma, nell’era della comunicazione veloce, di internet e dei social, dovremmo essere bombardati di informazioni, di progetti e di programmi, di domande e soprattutto di risposte. Invece restano solo le richieste di voto, avulse da concreti ragionamenti sulla città ma (o forse proprio per questo) sempre pressanti e caratterizzate da un messianico “io vi salverò”.

Non basta.

 In definitiva per chi è masochista buon divertimento; per chi non lo è, si prendesse se possibile una decina di giorni di ferie, si trasferisca più lontano possibile e (nel caso) torni giusto il 5 giugno a votare.

di Marco Ehlardo

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