Un corso di scuola guida in favore di 100 donne rifugiate o richiedenti asilo a Napoli, come opportunità per raggiungere un grado sempre maggiore di indipendenza. È quanto prevede il protocollo firmato questa mattina nella Sala Giunta del Comune di Napoli dall’amministrazione cittadina, l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, la Direzione generale territoriale del Sud del Ministero delle Infrastrutture e le associazioni di categoria Unasca e Confarca. Le persone coinvolte potranno conseguire le patenti A1 o B, affiancate da professionisti del settore presenti in città. In tal modo, l’accesso al mondo del lavoro e sviluppare così una piena autonomia potranno sostanziarsi con maggior facilità. Protagoniste saranno donne provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan, da vari Paesi del Continente africano, in possesso di un permesso di soggiorno o permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Gli interventi – «Sono donne che vogliono prendere in mano la propria vita diventando indipendenti e essere più parte integrante della nostra società» afferma Chiara Cardoletti, Rappresentante dell’Unhcr per l’Italia, Vaticano e San Marino che ricorda la stipula, meno di un anno fa, della firma da parte del Comune di Napoli della carta per l’integrazione per i rifugiati. A Napoli, aggiunge Cardoletti, «c’è un punto molto importante, (“Spazio Comune con protagoniste realtà del Terzo Settore ndr.) che permetterà ai rifugiati l’accesso ai servizi e al lavoro». La presentazione della lodevole iniziativa è anche l’occasione per parlare di quali siano le contraddizioni per la piena tutela dei rifugiati approdati nel nostro Paese e provenienti da diversi contesti e scenari internazionali. «Le difficoltà per l’integrazione continuano a essere tante, dai documenti alla garanzia dell’ottenimento dei servizi, dall’affitto di una casa, all’accesso al mondo lavoro. Persone disponibili ad affittare ai rifugiati è un problema, su tutto il territorio nazionale – afferma ancora la rappresentante dell’Agenzia Onu per i rifugiati – Ecco del perché lavoriamo con i Comuni, nel capoluogo campano e non solo.  È una questione di burocrazia che deve essere gestita e resa meno insormontabile per i rifugiati». Il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi intende il progetto che dà alle donne rifugiate di poter conseguire la patente di guida come uno di quelli che rientrano «nelle politiche d’inclusione dei migranti che portiamo avanti come Comune e questa volta lo facciamo con organismi internazionali, con ministero dei Traporti e associazioni di categoria» in modo da offrire «un contributo importante al sistema dell’accoglienza e dell’integrazione delle persone migranti». Soddisfatto della firma del protocollo anche l’assessore alle Politiche Sociali della giunta cittadina, Luca Trapanese. «Si tratta di una grande opportunità, di un ulteriore tassello che si aggiunge alle tante iniziative che stiamo progettando e realizzando per l’integrazione delle persone con background migratorio nella nostra città, in una strategia che superi l’approccio assistenzialistico in favore dell’accompagnamento all’autonomia grazie a strumenti formativi e a servizi integrati, in particolare rivolti ai più fragili, minori e donne» «Obiettivo dell’iniziativa – rimarca il concetto Umberto Volpe, direttore generale della Dgt del Sud del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – è quello di fornire un contributo all’accoglienza in Italia di donne costrette alla fuga dai loro Paesi. Una patente per una più efficace integrazione, attraverso l’apprendimento delle norme di comportamento su strada e l’approfondimento della lingua italiana, mediante l’acquisizione di una nuova terminologia legata al mondo della circolazione stradale. Con questo progetto, in definitiva, si garantisce anche il diritto alla mobilità di queste donne, al fine di favorirne la piena integrazione nella vita sociale del nostro Paese». Per Paolo Colangelo, presidente di Confarca, il conseguimento della patente di guida a chi è rifugiato significa renderle «più autonome ed emancipate, possono pensare di fare delle scelte diverse da quelle che sono state loro imposto e costruirsi un futuro più libero, in termini lavorativi, sociali e familiari». Il ruolo di Unasca nel progetto, sottolinea il presidente Alfredo Boenzi, «è cruciale per garantire che la formazione offerta alle donne rifugiate sia adeguata e risponda alle loro particolari e specifiche esigenze. Il contributo dell’Associazione è fondamentale per assicurare la qualità del processo formativo e adattarlo alle reali difficoltà alle sfide ma anche alle opportunità per le partecipanti».

Le beneficiarie – Definitiva indipendenza, volontà di pilotare la propria felicità e libertà. Le beneficiarie del progetto sono entusiaste di prendervi parte. Ognuna di loro ha alle spalle una storia fatta troppo spesso di sofferenza, di lunga lontananza dai propri affetti, della necessità di lasciare il proprio luogo di origine perché diventato pericoloso e senza prospettive. Hafiza Mahdiyar, rifugiata afgana e studentessa di economia e commercio di 19 anni, è a Napoli da un anno e mezzo con sua sorella Fatima di 23 anni. Hanno lasciato l’Afghanistan nel 2021, quando i talebani sono tornati al potere. Hafiza si sente integrata nel tessuto cittadino, ma sente che mancano ancora dei tasselli per chi come lei proviene da altri mondi. «Tra i principali ostacoli per gli immigrati e rifugiati – è il punto di vista della studentessa –  c’è quello della ricerca di un alloggio. Io e mia sorella tante volte abbiamo cercato una casa e quando l’abbiamo trovata ci è stato detto che siamo immigrate e che quindi non potevamo averla». Al momento sia lei che Fatima vivono in uno studentato. «Le opportunità per le donne sono poche, vanno aumentate» aggiunge Hafiza pur riconoscendo che a Napoli «le associazioni che si occupano di immigrati e rifugiati, compresa l’Unhcr, sono tante. Conseguire la patente e poter guidare significa poter andare anche fuori dalla città. Io adesso lavoro per il Servizio Civile ma è lontano dallo studentato in cui alloggio quindi può essere anche un’agevolazione economica». Success Iyekoretin è una cittadina nigeriana che risiede a Procida da 2 anni, dopo aver vissuto per quasi un lustro a Napoli. Senza indugio afferma: «Io sono mamma e poter avere la possibilità di guidare conseguendo la patente, mi cambia la vita, si tratta di una cosa importante. Io ho lavorato come addetta in un campeggio a Procida e lo farò ad aprile anche quest’anno, spostarsi con un mezzo proprio può fare la differenza». Tra i suoi obiettivi futuri, «migliorare la lettura dell’italiano e anche la capacità espositiva. Ho frequentato dei corsi in Italia, mentre in Nigeria non è stato possibile per me studiare».  Oksana Okentyuk, ha 46 anni e proviene dall’Ucraina. È a Napoli da 22 anni e lavora come badante. Solo con lo scoppio della guerra nel suo Paese è riuscita a ricevere alcuni documenti.  «Io pur essendo a Napoli dal 2002, quando avevo 24 anni – è il suo racconto – non ho mai avuto i documenti perché nessuno mi ha detto come fare e nel frattempo dovevo mantenermi. Ci vogliono dieci anni di residenza per ottenere la cittadinanza, è troppo». Soltanto dopo l’invasione russa del 24 febbraio 2022 ha avuto il permesso di soggiorno con protezione internazionale. «Lavoravo in nero e non avevo i contributi. Siccome ho avuto solo la protezione internazionale, la cittadinanza italiana la potrei avere alle soglie dei 60 anni». Oksana, che oramai padroneggia benissimo l’italiano, nel frattempo dà un aiuto ai suoi connazionali accompagnandoli in Questura e in Prefettura per richiedere i documenti. Intanto lei stessa sta aspettando, come ci rivela, da «5 mesi il mio passaporto ucraino dall’Ambasciata, perché il mio Paese non è nell’Unione Europea. Io sono diplomata in Ucraina, ma qui non ho avuto la possibilità di studiare e il mio diploma qui in Italia non vale. Ma i corsi non li posso seguire perché devo lavorare per vivere e spedire i soldi ai miei familiari. E come me tanti». Anche per Oksana avere la patente può essere un vantaggio. «Avrei più la possibilità di guardarmi attorno, integrarmi di più e raggiungere più opportunità». Presenti in Sala giunta alla firma del protocollo anche Carmen Rosa Alarcon Yana, rifugiata peruviana con sua figlia Judith Cordova. «Sto cercando lavoro dopo un problema di salute e ho ora i documenti perché mi è stato riconosciuto lo status di rifugiato politico in quanto perseguitata in un Paese, come il Perù maschilista e che preclude tutte le possibilità alle donne. Imparando a guidare un’auto o un motorino potrò trovare più facilmente trovare lavoro e intanto continuare a studiare». Anche sua figlia Judith parla della mancanza di libertà delle donne in Perù. «Uccidono tante ragazze nel nostro Paese, c’è tanta delinquenza, poi lo stipendio è basso soprattutto per le donne. Io ho subìto diverse rapine e sono stata aggredita, c’è tanta corruzione e rischi la vita solo perché sei donna. I maschi sono chiusi, cavernicoli e le donne sono sottomesse. Solo l’uomo è tenuto a comandare».

di Antonio Sabbatino

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