Costruire un nuovo percorso di vita, dopo un passato difficile, aiutando chi sta passando un simile periodo di difficoltà. Non solo una terapia d’urto per la propria autostima, ma anche un’azione concreta in favore degli altri che hanno bisogno di sentirsi accolti. Veronica e Luciano sono due tra i volontari della Mensa San Vincenzo De’ Paoli inaugurata nel marzo 2022 nella chiesa al civico 30 di via Santa Sofia, alle spalle di via San Giovanni a Carbonara nel pieno centro storico di Napoli. Ogni giorno alla mensa sono cucinati una quarantina di pasti per gli indigenti del territorio, sia napoletani che provenienti da altri mondi: si tratta di senza fissa dimora, persone con fragilità fisiche, dipendenti da alcool e droghe, sulla soglia o già dentro la povertà. Ad animare ogni giorno la mensa sono donne e uomini, giovani e meno giovani, dai trascorsi turbolenti e da un futuro da costruire giorno per giorno. Tra questi ci sono Veronica e Luciano.  Lei è entrata in un programma di messa alla prova che le consente di operare alla mensa, dopo aver avuto guai con la legge perché accusata di truffa. Luciano è invece volontario alla San Vincenzo De’ Paoli, si sta ricostruendo un futuro dopo tanti anni di dipendenza degli stupefacenti.

L’odissea e la speranza di Veronica – Veronica, che accetta di parlare a patto però che non la si ritragga in volto, ha solo 36 anni ma tanta vita vissuta. Residente a piazza Mercato insieme alla madre, racconta il motivo per il quale è alla Mensa di San Vincenzo de’ Paoli. «Il mio Iban – afferma mentre distribuisce i bigliettini per prenotare un pasto e per dare anche altre – è stato clonato. Per questo motivo sono stata accusata di truffa, ma in realtà la truffa l’ho subita e mi sono ritrovata ad avere guai con la giustizia. Io non ho commesso nulla ma a nome mio sono risultate ben 8 truffe online» assicura più volte Veronica a cui il mondo è cascato addosso per questa storia e sta cercando di riprendersi in attesa che il momento di chiarezza divenga completo. «Il giudice mi ha dato la possibilità, ed è la seconda volta, di fare la messa alla prova perché ero incensurata e luglio sono arrivata alla Mensa di San Vincenzo de’ Paoli». Per Veronica il segreto è quello di «trovare il modo di andare d’accordo con tutti trovando un giusto equilibrio. Non è facile stare insieme alle altre persone che magari hanno avuto delle difficoltà, ti devi adattare. Non mi sono ambientata subito, poi ho trovato l’intesa con gli altri perché come si dice a Napoli dove vado “faccio casa’’». Infatti oltre a servire ai tavoli alla chiesa di via Santa Sofia fa anche le pulizie, accoglie le persone. Sull’interazione con gli altri, la 36enne aggiunge: «Con gli operatori e gli altri volontari diventiamo una cosa sola. Le persone che vengono alla pensa per un pasto, ti fanno capire a modo loro che hanno bisogno di attenzioni». Le strade tortuose dell’indigenza sono battute, molto spesso per costrizione, a causa di diversi fattori. Uno di questi è il lavoro povero, sottopagato, offerto senza alcun diritto. Prima della storia giudiziaria che l’ha coinvolta, questo percorso l’ha intrapreso suo malgrado anche Veronica. «Lavoravo in un’impresa di pulizia a Casandrino, ma poi non ho retto più. Scendevo alle 6 del mattino e tornavo alle 8 di sera, viaggiavo in treno da Napoli a Frattamaggiore, andata e ritorno. Sapete quanto mi pagavano? 600 euro al mese, tutti i giorni tranne la domenica. A volte non riuscivo nemmeno a trovare un treno per tornare e dormivo proprio a Frattamaggiore da un’amica». Veronica vede oggi il futuro meno a tinte fosche. D’altra parte ha solo 36 anni, ha ancora un bel po’ di vita davanti a sé. «A me piace viaggiare, conoscere persone – dice sorridendo – Io sono nata per arrangiarmi. Non c’è un mestiere preciso che mi piacerebbe fare ma sono pronta a tutto pur di essere felice. Da giovane ho fatto la parrucchiera, ma pure se dovessi fare altro va bene lo stesso l’importante è migliorare». Veronica poi, sapendo che è giunta ora di preparare i tavoli e accogliere le persone all’ora di pranzo per il pasto, conclude con un rammarico. «Vorrei aver avuto la testa sulle spalle da giovane, come ce l’ho adesso. Forse sarebbe stato tutto diverso per me. Da ragazzina era scapestrata, mi divertivo anche se non ho mai fatto reati ma semplicemente voglia di vivermi le giornate». Cosa che con consapevolezza e un po’ di fortuna, Veronica potrà sicuramente fare da qui in avanti.

Il passato oscuro di Luciano-  Ha gli occhi tristi ma non rassegnati, Luciano. Nei suoi 57 anni di vita, ha concesso molto al lato oscuro che alberga in ogni animo umano. Originario del quartiere di San Giovanniello, alle spalle di piazza Carlo III, l’uomo ha combattuto per anni con i demoni della tossicodipendenza. Alla Mensa di San Vincenzo de’ Paoli prima era un ospite, ora serve ai tavoli stando vicino a chi come lui ha vissuto e vive nel mare dell’incertezza. Anche con lui, preferiamo non insistere nello scattare una foto. «Per tanti anni – ricorda – sono stato schiavo degli stupefacenti. Compravo droga dappertutto e mi sono trovato a dormire in stazione alla Stazione Centrale come un clochard. Ero diventato magrissimo». L’uomo svela del perché ha cominciato a dilettarsi con l’eroina, la cocaina e le pasticche. «A me piaceva stare in strada, fare il vagabondo. Mia madre diceva di stare attento ma non le davo ascolto: è stata colpa mia se sono caduto nel tunnel della droga. Un amico, dopo un furto di un appartamento, invece di darmi parte del provento della refurtiva mi ha dato il corrispettivo in stupefacenti. Ho sperimentato e ci sono caduto subito. A causa della mia necessità di drogarmi, mi sono macchiato di diversi reati e per questo sono finito in carcere circa 10 anni fa per un cumulo di pena. Sono stato a Poggioreale e a Spoleto». Proprio al carcere di Spoleto, attraverso una borsa lavoro e altre attività, Luciano ha iniziato a svoltare: «Lavoravo l’orto in carcere e quanto prodotto lo portavo nelle scuole grazie all’affidamento concessomi. Quel periodo, parliamo di circa 5 anni fa, mi è servito tantissimo consentendomi di ripulirmi. Una volta scontata la pena, ho smesso di fare cazzate». A completare la riabilitazione di Luciano ci hanno pensato le sedute psicologiche al Sert di Fuorigrotta. Il 57enne ora dorme e mangia alla Casa della Gente in via Foria e da qualche mese fa il volontario alla Mensa di San Vincenzo de’ Paoli dove a detta di tutti si impegna tantissimo. «I gruppi di ascolto con gli psicologi e gli esperti sono stati utili e ora alla mensa mi trovo benissimo con gli altri che ci lavorano. Ho anche fatto pace con la mia famiglia, che il diavolo della droga mi ha reso lontana». Difficile trovare una persona che più di Luciano possa capire l’inferno di chi vive per strada con una dipendenza e perché povero. «Conosco la loro sofferenza. Quando vedo i tossici della zona di Porta Capuana (l’area non distante da via Santa Sofia spesso frequentata da chi passa tutti il giorno a cercare una dose da consumare ndr.) la voglia di drogarmi non ce l’ho più e anzi cerco di aiutare chi è ancora dipendente portandolo alla mensa per un pasto. A volte cedo anche il mio pasto e cerco di convincere chi ha bisogno di andare in comunità». Luciano ha ancora una grande voglia di vivere, cerca la serenità. «Spero di trovare una donna che mi possa stare accanto per quello che sono. In passato ho avuto delle fidanzate, ma per colpa della droga le trascuravo. Ora sarebbe diverso, potrei affrontare le responsabilità di un vero rapporto di coppia».

La parola a Giuseppe-  Giuseppe Maienza coordinatore della mensa sociale della Mensa San Vincenzo De’ Paoli, che esiste dal 1979, è ogni giorno in via Santa Sofia a coordinare le attività a partire da quella della distribuzione del cibo. «Noi come associazione – afferma –  andiamo a curare due aspetti: il sostegno alimentare, offrendo un posto a tavola quotidianamente a 40 persone e la fornitura di vestiti. Oltre ai senza fissa dimora della zona arrivano qui molti napoletani che si avvicinano alla terza età e che attendono l’arrivo della pensione sociale visto che il reddito di cittadinanza è stato smantellato. Ospitiamo anche diversi. tossicodipendenti». Questi ultimi, essendo spesso sotto l’effetto di sostanze e quindi non lucidi, aggiunge Maienza, «non arrivano puntuali al pranzo.La maggior parte di loro provengono dalla provincia di Napoli, viaggiando in treni che io ho ribattezzato come gli ultimi della propria vita. Una volta giunti alla Stazione Centrale, questi soggetti rimanendo tra piazza Garibaldi e Porta Capuana per tutto il tempo alla ricerca di droga: è davvero degradante Noi cerchiamo di avere un approccio per il quale possiamo dare loro sostegno, ma non è facile vista la mole di persone». Maienza, come fatto in passato dagli stessi referenti della San Vincenzo de’ Paoli, non risparmia una critica al Terzo Settore. «Non c’è un coordinamento tra i vari enti. Si fanno passi brevi che incidono nell’immediato ma non a lungo termine. Di questo, hanno colpa tutti».

di Antonio Sabbatino

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