NAPOLI- Fino al 22 Aprile, nell’antisala dei baroni del Castel Nuovo di Napoli, si tiene la terza edizione della manifestazione “Arte Reclusa/Libera arte. Le evasioni possibili”. Diretta e coordinata dallo psichiatra Adolfo Ferraro, la manifestazione si pone come uno spazio libero che raccoglie e mostra le possibilità espressive prodotte nei luoghi (e nelle condizioni) di reclusione fisica e psichica. Attraverso l’esposizioni di opere artistiche, tavole rotonde e fotografia “Arte Reclusa” vuole concentrare l’attenzione sull’esperienza della reclusione e sulla capacità dell’espressione artistica che permette l’evasione simbolica. Si fa arte per resistere e si mette in mostra per testimoniare l’esistenza. Ci si muove nelle sale tra le opere artistiche realizzate da chi, ogni giorno, cerca di evadere dalla sua condizione di recluso-escluso fisico e/o psichico lasciandosi andare alla sua creatività. È durante i laboratori artistici che si svolgono nelle strutture detentive e nei Dipartimenti di Salute Mentale del territorio campano che il recluso, grazie alla sua capacità creativa, riesce a riappropriarsi di una libertà di espressione artistica. A dinamiche di esclusione rispondono pratiche di resistenza che, attraverso il medium artistico, permettono non solo una sublimazione della sofferenza ma, soprattutto, di un tentativo di evasione e riappropriazione del proprio Sé. Le opere nascono e vengono realizzate all’interno dei luoghi istituzionalizzati spesso non pensati per lo stimolo dell’individuo. Così, le zone grigie si colorano, le zone di esclusione diventano luogo di riappropiazione e produzione sociale per chi le vive, non si è più un numero di matricola o un sintomo ma (si ritorna) persona. La libera espressione artistica lascia cadere l’etichetta del “deviante” che funzionalmente spersonalizza così da far emerge la soggettività e autenticità dell’individuo fatta di esperienze e emozioni. Profonda creatività, confini mentali indistinti e contrapposte visioni della realtà rompono il confine della differenza. Osservando le opere si interpella il nostro immaginario incorporato del soggetto criminale e/o manicomiale e lo si cerca di decostruire contestualizzandolo nei luoghi di produzione della reclusione. Anche se per poco, “Arte Reclusa” riesce a fare evadere dalle celle e dalle stanze chi si trova recluso, chi ogni giorno aspetta l’incontro laboratoriale per vivere una condizione di libertà e istinto artistico che gli permette di poter dire la sua e da far chiedere cos’è la normalità?
Testo e foto di Emanuela Rescigno