Parla il sottosegretario Vincenzo Spadafora: «La leva obbligatoria? Un freno alla creatività»

Vincenzo Spadafora è Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle Pari opportunità, politiche giovanili e servizio civile universale. 
Cinque anni alla guida dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza. Una bella “palestra” per la sua attuale carica di Governo.

In effetti, sì: “palestra” è il termine giusto, visto che sono stato il primo Garante per l’Infanzia a essere nominato, quindi ho dovuto creare e organizzare l’ufficio da zero. Mi sono confrontato con tutte le difficoltà amministrative del caso ed ho interloquito con decine di istituzioni, prima di riuscire a dotare l’Autorità di “gambe per camminare”. Un altro aspetto non secondario è stato inserire l’Autorità nei tanti processi istituzionali già in atto che riguardavano l’infanzia e l’adolescenza. I Ministeri, il Parlamento, le Regioni e gli Enti Locali, i Tribunali, ma anche il mondo delle associazioni hanno dovuto tenere conto dell’esistenza e della rilevanza di un nuovo soggetto istituzionale nato proprio per essere loro interlocutore naturale e imprescindibile. Proprio l’importante lavoro svolto in quegli anni, con queste realtà istituzionali e associative, è stato una palestra fondamentale per il mio percorso successivo e per lo svolgimento del mio ruolo attuale.

Futuro, lavoro e opportunità. Il servizio civile universale può aiutare i nostri giovani a competere con i loro coetanei europei?

Senza dubbio, il mondo associativo italiano è tra i più dinamici e competenti a livello mondiale. I giovani che svolgono il servizio civile presso una di queste realtà arricchiscono enormemente il proprio bagaglio culturale e, eventualmente, anche professionale. Un giovane italiano non ha nulla da invidiare al suo coetaneo europeo, anzi, direi che, al termine dell’esperienza ha una marcia in più, sul piano umano e di empatia per il prossimo.

Si è parlato di una reintroduzione della leva obbligatoria, può essere un ulteriore sprone per i nostri giovani oppure crede sia un ritorno al passato?

Per carità, smettiamola con questi rimandi ai tempi che furono! Il servizio civile è oggi un’opportunità bellissima che i giovani hanno e possono scegliere liberamente, senza dover sottostare a regole paternalistiche che oggi sono fuori dalla storia. La leva obbligatoria nell’Italia di oggi sarebbe un freno alla creatività e all’intraprendenza dei giovani. Al contrario, la società degli adulti ha il dovere di fornire loro uno strumentario idoneo a dare prima forma e poi consistenza ai propri sogni; in questo, il servizio civile universale – quale primo contatto con il mondo dei grandi – mi sembra un percorso molto più efficace.

Il volontariato, anche alla luce della Riforma del Terzo settore, assume una rilevanza per l’apprendimento valoriale dei giovani, per l’acquisizione di nuove competenze e per responsabilizzare i giovani. Quali strategie per avvicinare i giovani alla cittadinanza attiva?

Il volontariato è una straordinaria opportunità di impegno e partecipazione per i giovani che vivono nel nostro Paese. Per questo, dedico, da sempre, al tema un’attenzione convinta e appassionata e la Riforma del Terzo Settore (anche ben scritta, ma lontana dall’essere pienamente implementata) è una occasione da non perdere. Per chi ha responsabilità di governo, le azioni devono sempre essere calibrate su un arco temporale medio-lungo; ma non è più il tempo di disegnare, su questo, troppe strategie. È impellente l’esigenza di passare ai fatti e, per avvicinare i giovani alla cittadinanza attiva, gli obbiettivi irrinunciabili sono due: coinvolgere (davvero e non pro forma) i ragazzi nei percorsi decisionali e offrire loro occasioni di crescita concrete. Con la costituzione del Consiglio Nazionale del Giovani dello scorso marzo e la pubblicazione del bando Fermenti, il Governo ha dato, su questi fronti, segnali molto incoraggianti. Il Consiglio è un organo di rappresentanza dei giovani italiani istituito con legge e che, per legge, è chiamato a fornire un parere su ogni provvedimento (legislativo o amministrativo generale) che impatta sulla condizione dei giovani italiani. Con Fermenti, invece, abbiamo messo a disposizione dei ragazzi circa 20 milioni di euro per la partecipazione attiva alla vita economica, sociale e culturale del Paese; peraltro riducendo al minimo gli adempimenti burocratici e facilitando il dialogo e l’interazione con le Istituzioni. Sull’abbrivio di questi importanti risultati, potremo fare molto altro.

Quali azioni e motivazioni mancano, in Italia, per rendere operativo e funzionale il sistema di validazione e certificazione di competenze?

In esecuzione della Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea sulla validazione dell’apprendimento non formale e informale, abbiamo costituito il repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali e definito gli standard minimi del servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze (di processo, di attestazione, di sistema). È chiaro che non basta. Dobbiamo, quanto prima, superare definitivamente la distonia tra il c.d. ‘libretto formativo’ ed Europass perché, con un unico dispositivo istituzionale, i cittadini italiani possano vedere riconosciute le competenze individuali, conseguite anche in contesti non formali, in tutta Europa e senza limitazioni. Ma, sul fronte interno, il problema è di sostanza, oltre che di trasparenza. Nel nostro Paese, si trovano in condizione di ‘low skills’, oltre 13 milioni di persone. È una importante fetta della popolazione che si espone al rischio di scontare svantaggi economici e sociali. E credo che, su questo, gli sforzi devono essere anzitutto culturali: l’apprendimento non formale non è ancora correttamente riconosciuto in Italia, poiché diamo ancora troppo peso soltanto a diplomi e certificati. Ma assenza di titoli e qualificazioni non significa non saper fare nulla o non conoscere nulla. Il supporto di operatori professionali è essenziale per rimettersi in gioco e capire che non è mai troppo tardi per imparare. Il compito del sistema è dire a queste persone “siete in grado, avete delle competenze e vi daremo un a certificazione”. Sarebbe un aiuto enorme alla loro condizione di vita. 

> di Giovanna De Rosa