detenuti in carcereROMA – Carcere, disabilità, solidarietà. Tre parole chiave, tre temi centrali di un problema attuale di cui si parla troppo poco. Quello della disabilità all’interno degli istituti di pena: dei detenuti cioè con handicap fisici o psichici; o dei figli disabili delle persone recluse in carcere.
Di questo si è parlato alla Luiss Guido Carli: un incontro-dibattito con i rappresentanti delle istituzioni a cui gli studenti hanno potuto rivolgere le loro domande. Ma il fenomeno della disabilità in carcere è ancora poco esplorato: “Stiamo lavorando per raccogliere dati precisi” ha detto Giovanni Tamburini, il direttore del DAP, il Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria. L’obiettivo è quello di potenziare le strutture in cui rieducare e riabilitare. “La rieducazione si ha quando libertà e dignità si collegano alla responsabilità” ha detto.
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Nonostante, infatti, questo sia un momento critico e delicato per le carceri italiane, esistono anche istituti d’eccellenza che devono esser presi ad esempio per sviluppare un modello italiano: è il caso dei penitenziari di Bari e di Parma in cui il disabile è assistito anche grazie a un centro fisioterapico. Senza contare l’attività rieducativa a cui sono chiamati gli altri detenuti a cui viene chiesto di aiutare la persona con handicap.
E sul tema della disabilità dei figli dei detenuti è intervenuto anche Monsignor D’Ercole, presidente della Fondazione Raphael Onlus che da tempo promuove iniziative rivolte soprattutto ai bambini disabili con un genitore in carcere: iniziative di raccolta di fondi nonché per l’accompagnamento psicologico e sociale dei piccoli e il loro inserimento in famiglie aperte all’accoglienza o in strutture idonee.
“Il rapporto tra carceri e disabilità è un tema di vitale importanza – ha aggiunto Cosimo Ferri, sottosegretario al Ministero della Giustizia – questi bambini hanno bisogno di cure e aiuto specifici. Sono soggetti deboli e senza colpa, la società deve occuparsi di loro in modo adeguato”.

di Alice Martinelli 

 

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