REGGIO EMILIA. Avere un figlio e lasciare il lavoro. Secondo quanto emerge dalla ricerca condotta da Piramix su 786 donne del territorio emiliano, la maternità è il primo motivo di abbandono del lavoro per le donne. Sono, infatti, 3 su 10 le lavoratrici che si dimettono per occuparsi della famiglia. Inoltre, ogni 10 neomamme che tornano al lavoro, 2 lasciano dopo il primo anno di vita del figlio, anche perché solo un terzo rientra serenamente in ufficio o in azienda (il 42% lo fa con sensi di colpa verso il figlio, il 25% con uno stato d’animo altalenante tra sensi di colpa e serenità). La ricerca, voluta dalla Provincia di Reggio Emilia insieme all’associazione Centro studi sterilità-fertilità Antonio Vallisneri e alla consigliera provinciale di parità, Maria Mondelli, è stata presentata al convegno “Lavorare per soldi, lavorare per amore” organizzato dalla Provincia. «Questo lavoro nasce dalla constatazione che la maggior parte dei casi di discriminazione sul posto di lavoro riguarda madri al rientro dai congedi parentali – afferma Mondelli – La conflittualità che si sviluppa con il datore di lavoro ha spesso alla base un atteggiamento preconcetto sul fatto che una lavoratrice madre diventi una persona inaffidabile, di cui sbarazzarsi con ogni mezzo: quelli più usati sono isolamento e mobbing che, il più delle volte, sommati alla maggiore fragilità della neomamma, causano un quadro deprimente che portano la lavoratrice alle dimissioni spontanee».
L’IDENTIKIT. Ha tra i 26 e i 39 anni. Proviene da aziende di piccole o piccolissime dimensioni. Ha una rete parentale inadeguata o insufficiente. È il profilo della donna che abbandona il lavoro per occuparsi della famiglia secondo quanto emerge dalla ricerca di Piramix. In genere, gli abbandono sono definitivi perché si tratta spesso di lavoratrici precarie per le quali il possibile rinnovo di contratto dopo la maternità è decisamente scarso e, a conti fatti, risulta più conveniente, dati gli alti costi dell’assistenza infantile, rinunciare al lavoro. «In ogni caso – dice Catia Iori di Piramix – pur con una migliore offerta di servizi per l’infanzia la situazione è pesante, vuoi per la mancanza di asili nido all’interno delle aziende, per il mancato accoglimento del bimbo nelle liste-nido, per gli alti costi di assistenza del bambino con babysitter e asili e la mancanza di part-time e altri strumenti di conciliazione».

di Sofia Curcio

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