ROMA – Favorire l’uscita dal carcere dei soggetti di non elevata pericolosità, fermo restando l’ingresso in carcere per i condannati a pena definitiva che abbiano commesso reati di particolare allarme sociale. E’ il principale obiettivo del decreto legge adottato dal Consiglio dei ministri per contrastare il sovraffollamento carcerario. Un problema – spiega la relazione predisposta dal ministero della Giustizia – che “comporta costi altissimi sotto il profilo umano e sociale” e che ha portato negli anni ad una “reiterata condanna del nostro Paese da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo”.Il decreto “non è uno svuota-carceri, dice il ministro della Giustizia Cancellieri, ma un provvedimento capace di indicare una nuova filosofia di espiazione della pena”.
MENO CARCERE – Il testo, afferma la relazione del dicastero di via Arenula, “pur senza stravolgere l’attuale ordinamento intende realizzare un significativo alleggerimento del nostro sistema penitenziario”. L’intervento di riforma si muove dunque nell’ottica di favorire l’adozione di efficaci meccanismi di decarcerizzazione, alcuni dei quali peraltro già in vigore prima della legge n. 251 del 2005, c.d. legge ex Cirielli. Vi è una doppia linea di intervento: da un lato c’è la previsione di misure dirette ad incidere strutturalmente sui flussi carcerari, agendo in una duplice direzione: quella degli ingressi in carcere e quella delle uscite dalla detenzione. Dall’altro lato c’è il rafforzamento delle opportunità di trattamento per i detenuti meno pericolosi, che costituiscono la maggior parte della popolazione carceraria. L’obiettivo è rimuovere alcuni automatismi che hanno condotto in carcere negli ultimi anni un gran numero di persone impedendo loro di accedere alle misure alternative alla detenzione subito dopo il passaggio in giudicato della condanna. Il decreto prevede una modifica dell’art. 656 c.p.p. per riservare l’immediata incarcerazione ai soli condannati in via definitiva nei cui confronti vi sia una particolare necessità del ricorso alla più grave forma detentiva: da un lato i condannati per reati contemplati dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario; dall’altro lato coloro i quali al passaggio in giudicato della sentenza di condanna si trovino ristretti in custodia cautelare in carcere, in quanto dal giudice ritenuti in concreto pericolosi. A questi si aggiunge anche chi si rende protagonista del delitto di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori di quattordici anni.
La proposta contenuta nel decreto prevede la possibilità che il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di carcerazione, verifichi se vi siano le condizioni per concedere la liberazione anticipata e investa, in caso di valutazione positiva, il giudice competente della relativa decisione. In questo modo, il condannato potrà attendere “da libero” la decisione del tribunale di sorveglianza sulla sua richiesta di misura alternativa. Inoltre, per le donne madri ed i soggetti portatori di gravi patologie viene ora data l’opportunità di accedere alla detenzione domiciliare, peraltro già prevista dalle norme vigenti, senza dover passare attraverso il carcere, quantomeno nei casi in cui debba essere espiata una pena non superiore ai quattro anni (v. il nuovo art. 656, comma 5, cod. proc. pen.). Nei confronti degli altri condannati si è intervenuti sulla cosiddetta “liberazione anticipata”, istituto che premia con una riduzione di pena, pari a 45 giorni per ciascun semestre, il detenuto che tiene una condotta regolare in carcere e partecipa fattivamente al trattamento rieducativo (v. art. 54 ord. pen). In definitiva, nella nuova situazione, al passaggio in giudicato della sentenza, ove il condannato debba espiare una pena non superiore ai due anni (quattro anni se donna incinta o con prole sotto i dieci anni, o se gravemente ammalato) il pubblico ministero sospenderà l’esecuzione della pena dandogli la possibilità di chiedere, dalla libertà, una misura alternativa al carcere, che spetterà al tribunale di sorveglianza eventualmente concedere. Ove invece si tratti di autori di gravi reati o di soggetti in concreto pericolosi, ovvero sottoposti a custodia cautelare in carcere, questa possibilità non sarà offerta ed il condannato resterà in carcere fino a quando il tribunale di sorveglianza non ritenga, sulla base di una valutazione da svolgere su ogni caso specifico, che egli possa uscire in misura alternativa (art. 656, comma 9, cod. proc. pen.).
LAVORI DI PUBBLICA UTILITA’ – Il decreto amplia la possibilità per il giudice di ricorrere, al momento della condanna, ad una soluzione alternativa al carcere, costituita dal lavoro di pubblica utilità. Tale misura, prevista per i soggetti dipendenti dall’alcol o dagli stupefacenti, fino ad oggi poteva essere disposta per i soli delitti meno gravi in materia di droga, mentre in prospettiva potrà essere disposta per tutti reati commessi da tale categoria di soggetti, salvo che si tratti delle violazioni più gravi della legge penale.
Misure alternative. Puntano ad incrementare le possibilità di uscita dal carcere le modifiche che prevedono l’estensione degli spazi di applicabilità di alcune misure alternative per determinate categorie di soggetti, che in passato erano invece esclusi, come i recidivi per piccoli reati. Finora si impediva l’accesso alle misure (anche i domiciliari) nei casi in cui i soggetti avevano commesso reati di modesto allarme sociale e magari in un lontano passato. L’eliminazione di tali automatismi, quindi, consentirà al tribunale (o al magistrato) di sorveglianza di svolgere una valutazione in concreto, sulla base di elementi di giudizio forniti dagli organi di polizia e del servizio sociale del Ministero di giustizia. Nei confronti dei condannati per uno dei delitti indicati come più gravi (quelli di cui all’art. 4 bis ord. pen.) viene mantenuto il divieto di concessione di questa particolare forma di detenzione domiciliare.
Le misure incidenti sul trattamento rieducativo. Al fine di alleggerire le tensioni che, in specie nel periodo estivo, possono più facilmente innescarsi sia tra i detenuti che nei confronti del personale penitenziario, il provvedimento estende anche la possibilità di accesso ai permessi premio per i soggetti recidivi e prevede l’estensione dell’istituto del c.d. lavoro all’esterno (art. 21 dell’ordinamento penitenziario) anche al lavoro di pubblica utilità

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