Quello su Teresa Buonocore, la donna di Portici brutalmente uccisa nel 2010 per aver denunciato l’abusante di sua figlia, non è il solito libro strappalacrime che ne ricostruisce la vicenda. Carlo Spagna, il magistrato estensore della sentenza in Corte d’Assise, conclusasi con il verdetto dell’ergastolo per il mandante dell’omicidio, affronta la storia di Teresa Buonocore miscelando, in terza persona, il piglio di un romanzo poliziesco con gli elementi della cronaca giudiziaria (pubblicazione Iuppiter edizioni). Il suo è un ricordo, molto ben scritto e avvincente, non solo di una mamma forte e protettiva – non di una madre coraggio, qualità, quest’ultima, già insista nello stesso termine – ma anche uno spazio di riflessione sulla giustizia e le sue falle, sulla società, sulla camorra.

Nella ricostruzione di tutta la storia, dalla prima telefonata della scuola a Teresa per uno strano disegno di sua figlia fino al tragico epilogo, si sente la “foga” di un magistrato, già confrontatosi con processi emotivamente difficili come quella di Elisa Claps, che vuole arrivare fino in fondo, alla verità e soprattutto alla giustizia. Per Teresa, ma in particolare per la vittima più indifesa di questa storia: sua figlia, che nel libro prende il nome di Manuela. È lei che è sopravvissuta agli abusi sessuali di Eppì – la “summa dei sette vizi capitali” – e alla morte della madre; è lei che con coraggio ha testimoniato ai processi raccontando i fatti, terribili da ascoltare e ancor di più da ricordare. Ciò che colpisce del libro in memoria di Teresa Buonocore è l’accento che l’autore volutamente pone sul tema degli abusi e maltrattamenti ai bambini, di cui si parla ancora poco e che troppo spesso viene minimizzato anche dagli “addetti ai lavori”.

Carlo Spagna, invece, sceglie di parlarne senza mezze misure, non lascia intendere, ci fa capire chiaramente cosa è successo a Manuela e accende un faro su tutti i bambini che hanno vissuto la medesima esperienza. E non solo. L’autore, attraverso un ritmo piacevolmente scorrevole, lascia ben trasparire il minuzioso e determinante lavoro delle istituzioni, in primis, della polizia che non mai arretrato di un passo, poi della scuola e dei servizi sociali che non hanno mai lasciato Teresa e sua figlia in balia dell’orrore offrendo loro tutto il supporto possibile, pur in assenza di servizi specializzati per la cura dei bambini abusati.

Ma una cosa su tutte balza all’occhio: lo sdegno del magistrato, e di tutti noi, per quel risarcimento dei danni e pagamento delle spese del difensore di Manuela che non avrà mai luogo perché all’uomo che le ha cambiato i connotati della vita, la giustizia, con colpevole omissione, non ha impedito di disfarsi di tutti i suoi beni e trasformarsi in nullatenente. Al danno, se così si può chiamare, si aggiunge la beffa. Certo, il risarcimento economico non restituirà a Manuela il calore degli abbracci di sua madre, né le parole di conforto per quando ne avrà bisogno, ma le avrebbe potuto consentire di realizzare agevolmente i suoi progetti di vita. Di una vita brutalmente incrinata da un pedofilo camorrista.

di Ornella Esposito