OLYMPUS DIGITAL CAMERAAVELLINO. Vivere nella continua paura di ammalarsi, mentre dei colleghi muoiono e ad altri vengono diagnosticati i sintomi di un devastante tumore ai polmoni. Questa è la realtà che patiscono trecentotrenta operai che per 5 anni, dal 1983 al 1988, hanno lavorato nell’Isochimica di Avellino. Senza guanti, né tute, né mascherine hanno scoibentato circa tremila carrozze per conto di Ferrovie dello Stato. La più grande bonifica di amianto d’Europa, fatta a mani nude da un gruppo di giovani, molti dei quali appena ventenni e alla prima esperienza di lavoro, che ora a distanza di 30 anni fanno i conti con una tremenda malattia. «Erano gli anni del post terremoto – spiega Anselmo Botte, segretario della Cgil Salerno, che ha raccolto alcune delle storie di questi lavoratori nel libro “Il racconto giusto” – il pericolo che poteva rappresentare l’amianto si percepiva, ma non se ne capiva ancora la gravità. Lo stesso Elio Graziano, proprietario della fabbrica, in una famosa battuta sostenne facesse più male bere coca-cola».
Così quei trecentotrenta ragazzi hanno respirato e “mangiato” amianto per anni, mentre si proteggevano da quella che pensavano essere semplice polvere con dei fazzoletti bagnati. «La cosa che mi ha colpito maggiormente delle loro storie – sottolinea Botte – è il racconto del loro primo giorno di lavoro. Molti con il vestito “nuovo”, andavano a quello che credevano essere un colloquio per un posto nelle ferrovie dello Stato e si trasformava, invece, nel primo giorno di attività. Venivano subito messi a smantellare l’amianto e tornavano a casa con gli abiti impregnati di quella “polvere”». Venticinque di quegli operai sono già morti, ad altri sono state diagnosticate le placche pleuriche, il primo sintomo del cancro ai polmoni. Ad oggi ben il 97 % di loro è malato.
Una strage silenziosa per la quale, due anni fa, è partita una maxinchiesta che ha messo tra gli indagati ben 24 persone, tra dirigenti dell’Isochimica e funzionari delle Ferrovie dello Stato, responsabile secondo la magistratura di scarsi controlli sulle norme di sicurezza previste per tale operazione. Per il momento, però, si attende ancora l’inizio della causa. «Dovrebbe iniziare a breve – spiega Botte – Come Cgil regionale ci costituiremo parte civile e seguiremo tutta la vertenza. Naturalmente lavoriamo sia per riconoscimento dei benefici previdenziali ovvero per il prepensionamento di questi lavoratori sia per il loro risarcimento che, purtroppo – sottolinea – è legato al processo. A differenza della Francia, infatti, dove c’è un fondo nazionale per i malati di amianto perché è comprovato che il cancro dipende dall’esposizione, in Italia è ancora tutto legato alle cause che si prolungano negli anni. Tempi – conclude -che questi operai non posso, però, aspettare». Intanto, si sono riuniti in comitato pure gli abitanti di Borgo Ferrovia, anche loro contaminati chiedono venga bonificata la fabbrica dove sono sepolte grosse quantità di amianto.

di Emiliana Avellino

 

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