La lunga traversata nel deserto tra Mali e Niger insieme a perfetti sconosciuti. Un terribile periodo di detenzione in Libia, costretto a subire aggressioni e violenze in uno dei tanti lager tristemente noti. Il viaggio in mare aperto d’inverno verso Lampedusa, quindi Italia e quindi Europa vista come meta di libertà, con alte probabilità di finire in acqua. Tutto questo da adolescente e senza avere accanto alcun parente a dargli man forte. Famaka Dembele, 24 anni, maliano di Kita, città della regione di Kayes, non lontano dal confine con Senegal e Mauritania, per inseguire la felicità è partito dalla sua terra natia tredicenne circa 10 anni fa. Un lungo peregrinare, durato oltre un anno come minore non accompagnato. Ora Famaka è felice a Napoli grazie al permesso di soggiorno quinquennale ottenuto, dopo più di 7 anni, appena l’8 agosto scorso e a un contratto di lavoro stabile come barista in un locale di Sant’Antimo. «Alle 16.30 e 40 secondi dell’8 agosto di quest’anno – ricorda perfettamente Famaka – sono andato all’Ufficio Immigrazione della Questura di Napoli per ritirare il permesso di soggiorno quinquennale, che conservo bene insieme ai miei documenti d’identità». La dose di incredulità è tanta. «La sera a letto ancora guardo questi documenti e non ci posso credere, dopo tutto quello che ho passato. Sono davvero felice, posso sperare in un avvenire migliore. Voglio continuare a fare il barista, un lavoro che mi piace perché mi fa essere a contatto con le persone e poi perché mi diverto a fare caffè, cocktail».

Il viaggio e le peripezie – Famaka Dembele è attualmente ospite dell’Officina delle Culture Gelsomina Verde di Scampia, (è proprio nella struttura di via Arcangelo Ghisleri che attualmente ha il domicilio) che l’ha accolto una volta maggiorenne grazie al Percorso di Autonomia Guidata a cui il Comune di Napoli ha aderito nel 2017. Si tratta di un progetto rivolto ai giovani migranti maggiorenni di età compresa tra i 18 e i 22 anni. Ma per arrivare a questa nuova vita Famaka ha sofferto tanto in un’età che di solito coincide con una certa dose di spensieratezza: quella adolescenziale.  «Avevo soltanto 13 anni quando ho lasciato il Mali da solo salutando mia mamma Jallo, mio fratello Musa e mia sorella Mbamori mentre mio padre, che aveva un’attività di ferramenta e ricambi auto, è stato ucciso dai banditi – dice il giovane –  Ho intrapreso un lungo viaggio dal Mali al Niger attraversando il deserto, senza conoscere nessuno. In tutto eravamo 160, me lo ricordo bene. Nel frattempo ho lavorato lì per alcuni mesi come muratore». In Mali «una volta morto mio padre, ho dato una mano in famiglia a vendere il latte mungendo le mucche lasciando la scuola». Famaka l’inferno, come così per milioni di immigrati provenienti dai Paesi dell’Africa e dell’Asia, l’ha conosciuto in Libia. «Degli uomini ci hanno fatto viaggiare a bordo di grosse auto. Qualcuno è stato costretto a rintanarsi nel cofano. In Libia sono stato in tutto 6 mesi e ho tentato due volte di imbarcarmi per l’Europa. La prima volta ho pagato il corrispettivo di 500 euro, ma sono rimasto lì aspettando per ben 2 mesi di partire. In realtà il viaggio non è mai avvenuto; le autorità libiche mi hanno portato in un centro di detenzione nonostante avessero già intascato la somma, molto consistente se paragonato al cambio con la Cfa, la valuta del Mali». I centri di detenzione sono qualcosa di terribile, in Libia considerato dalle Ong e altre organizzazioni umanitarie porto non sicuro. Famaka ammette: «La paura era tanta. Non ci facevano mai uscire, le donne venivano violentate dai carcerieri dinanzi ai figli e gli altri, me compreso, subivano pestaggi. Io sono stato picchiato dai poliziotti, armati pure di pistole e fucili, con un bastone. Spesso mi punivano colpendomi forte alle mani. Non so dire in quale area della Libia esattamente fossi perché non potevamo vedere nulla». Come tutti i migranti, anche i familiari di Famaka sono stati contattati per inviare soldi ai trafficanti necessari per salire su un barcone e viaggiare in direzione Italia. Famaka Dembele prosegue. «Questa volta la cifra pagata è stata di 300 euro, abbiamo aspettato 25 giorni prima dell’ok. Sul barcone eravamo 130, altri minori non accompagnati come me, madri e padri con figli piccoli in braccio. Onestamente non ricordo il porto libico di partenza, perché non ci facevano mai vedere davvero dove eravamo. Ricordo però che la traversata nel Mar Mediterraneo è durata circa due giorni e ricordo perfettamente anche la data di arrivo a Lampedusa: 23 dicembre 2015».

Lampedusa, Agrigento, Napoli –  A soccorrere il barcone su cui si trovava Famaka, la Guardia Costiera Italiana. «Grazie a un telefono satellitare ci hanno individuato e dopo 6 ore sono state completate le operazioni di sbarco a Lampedusa», spiega Famaka rimasto nell’hotspot dell’isola. Successivamente, il trasferimento in una comunità ad Agrigento. «Ci sono rimasto due mesi ma non è andato tutto per il verso giusto. Io e altre persone che eravamo nel centro abbiamo addirittura aspettato un mese per avere un pantalone nuovo, una maglietta di ricambio, un paio di scarpe diverse da quelle del viaggio. Quando decidevo di asciugare i miei indumenti senza aver ricevuto quelli nuovi, sono rimasto addirittura in mutande. Mi davano da mangiare e bere, ma non potevo uscire. Io volevo giocare al calcio, studiare, conoscere persone e invece niente». Ma Agrigento ha coinciso anche con un momento emozionante: il ricongiungimento, seppur virtuale, con la sua famiglia in Mali. «A Lampedusa ero senza telefono e non potevo comunicare. Soltanto ad Agrigento mi hanno dato un cellulare grazie al quale ho contattato su facebook mio fratello. Musa non poteva crederci che fossi vivo e che ce l’avessi fatta. Che commozione parlare con mia madre!». La tappa successiva di Famaka è quella finale: Napoli, città che adora. «Per una settimana ho dormito in un albergo a piazza Garibaldi. Ero spaventato, essendo poco più di un ragazzino che non conosceva nessuno. Alcuni miei connazionali mi hanno aiutato e sono riuscito a trovare una struttura per migranti minori di Santa Maria a Vico, nel casertano, in cui sono stato accolto benissimo e ho iniziato a studiare l’italiano» sottolinea Famaka, che dopo 8 mesi in quel centro, al compimento dei 18 anni, è stato protagonista del progetto Peg del Comune di Napoli. «Ciro Corona, il punto di riferimento della struttura mi ha accolto lì e non finirò mai di ringraziarlo. Piano piano sono riuscito a inserirmi nel mondo del lavoro come cameriere e barista e avere permessi lavorativi rinnovati di 6 mesi in mesi». In proposito lo stesso Ciro Corona fa queste considerazioni: «Dare un’opportunità di futuro a chi scappa da contesti complicati è l’obiettivo dei beni comuni. Altri ragazzi stranieri di diversa nazionalità sono stati protagonisti del Peg con il Comune di Napoli ma hanno preferito utilizzare l’Italia come Paese di transito. Famaka, al contrario, vuole vivere a Napoli».

Il presente –Tutto rose e fiori a Napoli per Famaka? Non proprio, neppure questa volta. «In un bar di Mugnano avevo un contratto di 6 ore a 600 euro al mese – dice – ma lavoravo anche 15 o 16 ore. Ho resistito 3 anni soltanto perché buona parte della paga serviva alla mia famiglia in Mali. Il bar dopo un mese che me ne sono andato ha chiuso». Nel frattempo Famaka sta perfezionando la conoscenza della lingua italiana grazie a un’insegnante messa a disposizione dall’Officina delle Culture e dovrebbe prendere il diploma fra non molto tempo. Una ulteriore soddisfazione che si aggiunge a quella del permesso di soggiorno ottenuto poche settimane fa. Il 24enne maliano come detto, attualmente lavora in un bar di Sant’Antimo dopo un’ulteriore esperienza in un altro bar del circondario napoletano. «Qui la paga buona, ho la tredicesima, quattordicesima, faccio 8 ore di lavoro e non di più e ho anche la stima dei colleghi». Siccome la vita spesso è un cerchio che si chiude, seppur tra mille problematiche, Famaka può sorridere anche per un altro motivo. «Partirò a dicembre per il Mali e ci starò 3 mesi. Il mio datore di lavoro ha accolto la mia richiesta senza fare obiezioni. Non vedo l’ora di riabbracciare mio fratello che ora ha 19 anni, mia sorella di 16 e mia madre di 43, che però non vorrebbe che Musa e Mbamori partissero per l’Italia per non subire quello che ho subito io». Il permesso di soggiorno preso l’8 agosto gli permetterà di rientrare in Italia senza rischiare di rimanere fuori i suoi confini visti i documenti in regola. «Spero – dice ancora – che il Mali possa uscire dalla crisi economica e che non sia più depredato delle sue ricchezze come il petrolio, il diamante e oro, sfruttati al 70% da nazioni straniere come i francesi che ci hanno colonizzato. I maliani hanno il diritto a costruirsi un futuro prospero».

L’Officina delle Culture Gelsomina Verde – Per quanto riguarda il futuro dell’Officina delle Culture Gelsomina Verde di Scampia, intitolata alla vittima innocente di camorra, Corona fa presente di essere «ancora che Comune e Asìa Napoli mettano in atto la permuta (scambio di due edifici di pari valore ndr.). Il vecchio contratto è scaduto da anni e quello nuovo da firmare prevede l’utilizzo per noi di Officina delle Culture di quest’edificio per 7 anni + 7 con un canone mensile di 2000 euro che tutte e 10 le realtà di varia natura che utilizzano lo spazio contribuiranno, ognuna per la propria parte e possibilità, a pagare al Comune. Nel frattempo ci siamo costituiti come Associazione temporanea di scopo. Aspettiamo da un anno attendiamo di essere chiamati alla firma del contratto».

di Antonio Sabbatino

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui