ROMA. La Nobel per la pace Shirin Ebadi, Amnesty International, Human Rights Watch, la Campagna internazionale per i diritti umani in Iran, Reporter senza frontiere, la Federazione internazionale per i diritti umani e la Lega iraniana per la difesa dei diritti umani hanno chiesto alle autorità iraniane di porre fine alle vessazioni subite in carcere da Nasrin Sotoudeh e da altri detenuti e di consentire loro di incontrare i familiari e ricevere cure mediche. «Giornalisti, avvocati e difensori dei diritti umani sono imprigionati in Iran solo a causa delle loro attività pacifiche. Anzitutto, nessuno di loro dovrebbe essere in carcere. Ma intimidire i figli dei prigionieri, negare gli incontri tra questi e i loro familiari e non fornire cure mediche e’ ancora peggio», hanno dichiarato Shirin Ebadi e le sei organizzazioni per i diritti umani.  Da quando è stata arrestata nel 2010, Nasrin Sotoudeh, avvocata di 47 anni e madre di due figli, è stata spesso posta in regime di isolamento. Così come ad altri prigionieri, le sono state negate cure mediche adeguate e le è stato impedito di incontrare con regolarità i suoi familiari. Nasrin Sotoudeh è attualmente ricoverata nell’infermeria del carcere di Evin, a Teheran. Ha iniziato uno sciopero della fame il 17 ottobre per protestare contro le vessazioni subite dai familiari e le restrizioni al suo diritto di ricevere visite.
I CASI. Nasrin Sotoudeh sta scontando una condanna a sei anni di carcere (in primo grado, nel gennaio 2011, gliene erano stati inflitti 11) per ‘atti contro la sicurezza nazionale’ e ‘propaganda contro il sistema’. Al termine della pena le sarà inibito l’esercizio della professione legale e non potrà viaggiare per 10 anni.  Le autorita’ iraniane stanno negando cure mediche anche a due detenute politiche, Bahareh Hedayat e Mahboubeh Karami, condannate rispettivamente a 10 e tre anni di carcere per reati contro la sicurezza. Karami soffre di depressione ma non riceve trattamenti adeguati. Hedayat e’ stata autorizzata a curarsi per problemi ai reni e allo stomaco fuori dal carcere, per poi essere obbligata a rientrare in prigione.
La direzione del carcere di Evin, inoltre, sta impedendo incontri tra le giornaliste Jila Baniyaghoob e Mahsa Amrabadi, condannate a un anno di carcere, e i loro mariti detenuti in altre prigioni: Bahman Ahmadi-Amoui, collega e marito di Jila Baniyagoob, si trova nella prigione di Rajai Shahr, condannato a cinque anni per ‘propaganda contro il sistema’ e ‘offesa al presidente’. Anche Masoud Bastani, collega e marito di Mahsa Amrabadi si trova a Rajai Shahr, dove sta scontando una pena di sei anni per ‘propaganda contro lo stato’.
Javid Houtan Kiyan, in carcere dall’ottobre 2010, condannato a 11 anni per ‘atti contro la sicurezza nazionale’ per aver parlato del caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna condannata nel 2006 alla lapidazione e la cui sentenza e’ stata sospesa a seguito delle pressioni internazionali. Ha gravi problemi all’apparato digerente ma non riceve cure mediche adeguate. Le visite dei familiari sono ridotte al minimo.
Abdolfattah Soltani e’ in carcere dal 4 marzo 2012 in esecuzione di una condanna definitiva a 13 anni (seguiti dal divieto di esercitare la professione legale per 20 anni). E’ recluso a Barazjan, circa 1200 chilometri a sud di Teheran. E’ stato giudicato colpevole di ‘propaganda contro il sistema’, ‘riunione e collusione contro lo stato’ e ‘costituzione di un gruppo illegale’, ossia il Centro per i difensori dei diritti umani di cui e’ cofondatore con Shirin Ebadi.  Mohammad Ali Dadkhah, un altro avvocato in carcere dall’aprile 2012, sta scontando una condanna a nove anni per aver rilasciato interviste alla stampa estera e aver fatto parte del Centro per i difensori dei diritti umani. Come pene accessorie, e’ stato multato e frustato e inibito dall’esercizio della professione legale e dall’insegnamento per 10 anni.  Mohammad Seifzadeh, ennesimo avvocato a sua volta esponente del Centro per i difensori dei diritti umani, sta scontando due anni di carcere per accuse simili a quelle di Dadkhah ma nei suoi confronti sono in corso ancora altre inchieste.
LA CAMPAGNA. Fino al 25 novembre e’ in corso ‘Io sono la voce’, la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi di Amnesty International Italia tramite SMS solidale al 45509 per i diritti delle donne in Medio Oriente e Nordafrica.  Il valore della donazione e’ di 2 euro per ciascun SMS inviato da cellulari TIM Vodafone, Wind, 3 PosteMobile, CoopVoce e No’verca e di 2 euro per ciascuna chiamata da rete fissa TWT e di 2 o 5 euro per ciascuna chiamata da rete fissa Telecom Italia, Infostrada e Fastwebnet.

di Davide Domella

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