PRATO. C’è tutto il mondo in una scuola. All’istituto elementare ‘Fabio Filzi’ di Prato quasi il 70% dei circa 200 studenti è di nazionalità straniera. Non è la percentuale più alta d’Italia, ma una delle più alte in una scuola ubicata entro i confini del centro storico. E poi, dicono i docenti dell’istituto, “questa è la scuola d’Italia dove c’è più integrazione tra studenti italiani e studenti stranieri”. Difficile dargli torto, soprattutto in virtù del fatto che tutti gli studenti vivono la multiculturalità come un’esperienza arricchente.
 “Siamo contenti di frequentare una scuola con tanti stranieri perché almeno impariamo le lingue” commentano alcuni alunni, mentre altri aggiungono: “La cosa più bella di una scuola multietnica? Impariamo a riconoscere le bandiere di tante nazioni”. E infatti, ad ogni parete dell’istituto, campeggiano bandiere colorate dai ragazzi: c’è quella della Cina (la maggioranza degli alunni stranieri è di nazionalità cinese) e quella della Romania, quella del Marocco e quella della Costa d’Avorio. E poi Algeria, Russia, Ucraina, Nigeria. Sulla porta della sala professori c’è invece una piccola bandierina italiana. I docenti vengono soprattutto dal Mezzogiorno. Faticano il doppio dei maestri normali per insegnare le materie. Non sempre è facile tenere il ritmo in classi così variegate, dove qualche studente conosce soltanto dieci parole d’italiano. Per aiutarli ci sono gli alfabetizzatori, che svolgono lezioni a parte per gli studenti maggiormente in difficoltà. Una caratteristica, quella della multiculturalità, che tiene alla larga molti alunni italiani, visto che i genitori preferiscono scuole in cui ci sono condizioni di insegnamento “normali”. Ma gli insegnanti della Filzi assicurano: “Avere tanti stranieri in classe non è un impedimento, anzi”. “Iscrivere il proprio bambino alla Filzi – dicono dall’assessorato all’istruzione del comune di Prato, che ha investito molto su questa scuola – è una sfida ad una situazione sociale che riguarda tutti, una situazione che rappresenta il futuro inevitabile della società in un mondo globalizzato”.
 
LE LEZIONI. Tutti i docenti della Filzi svolgono lezioni particolari, diverse da quelle di altre scuole. Sono le cosiddette unità didattiche stratificate, che gli insegnanti preparano accuratamente a casa. “Qui l’improvvisazione non esiste – commenta Roberta Mimi, collaboratrice della preside – Ogni lezione è il frutto di una meticolosa preparazione a tavolino e i docenti hanno un’alta professionalità”.
“All’inizio della mia esperienza ero spaventata – continua Mimi – ma adesso ho capito che la multietnicità non crea problemi all’educazione, ma arricchimento reciproco. I nostri ragazzi, oltre a imparare lingue straniere, capiscono che il mondo non ha i confini dell’aula. La Cina non è più quel paese così lontano in cui era andato Marco Polo tantissimi anni fa. La Cina è il paese di Speng e di Simone, compagni di banco dei nostri alunni”.
 
GLI ALUNNI.  Alla scuola Filzi i bambini adottano sin dalla più tenera età una visione più globale del pianeta. Succede anche grazie a Chekue, nigeriano, che racconta sempre che nel suo Paese doveva fare due chilometri a piedi prima di trovare l’acqua, quella del fiume. Oppure grazie ad Alexandru, romeno, che per dissetarsi doveva uscire di casa, attraversare due isolati e abbeverarsi alla fontana. E poi c’è Ali, pakistano, che non andava a scuola con l’auto dei genitori, ma con un carro di buoi trainato dai contadini. “Nella nostra scuola – commentano i docenti della scuola – si hanno due interpretazioni diverse dell’esistenza. Non c’è soltanto il nostro Occidente, ma anche un mondo più lontano e più sfortunato”.

Simona Nocera

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