L’Albero delle storie Onlus è un’associazione di promozione sociale e culturale, uno spazio di gioco, studio e ascolto sorto all’ombra della vela di Scampia per le bambine e i bambini del quartiere grazie a Davide Cerullo scrittore, fotografo, educatore fuggito a 20 anni all’esercito della camorra per trasformare il suo vissuto in impegno concreto.

Davide sa quanto le parole e le azioni contino per creare visioni e opportunità di crescita positive per i più piccoli. Solo tre anni fa accanto alla biblioteca-ludoteca avuta in comodato d’uso da Sant’Egidio c’era un’area incolta con sterpi, siringhe e sporcizia e insieme a gruppi di studenti dell’Università Federico II, dell’Accademia di Belle Arti, a gruppi di Scout, a cittadini ha liberato quello spazio e lo ha restituito alla comunità. Oggi c’è un’area verde ben tenuta con tanti animali tra cui muli, galline, conigli dove si apprende una pedagogia della terra.

«Quello spazio abbandonato – racconta Davide – oggi è a disposizione di bambini e adulti per piantare, seminare, creare giochi all’aperto, per formare a una coscienza ecologica a partire dai primi atti, dai primi anni. Bisogna insegnare ai bambini e agli adulti ad essere cittadini liberi e consapevoli».

Davide insieme a Raffaella, Matilde, Irene, Roberta, Leonardo, Luca e a clowterapisti e tirocinanti della scuola di Arteterapia di Napoli lavorano ogni giorno su tre campi di azione: la ludoteca (diritto all’infanzia), la riqualificazione di spazi pubblici (diritto della terra), l’educazione degli adulti (diritto al dialogo).

«Da quando c’è l’Albero delle storie – racconta Rosa -, Pasquale mi dà la sensazione che non voglia più crescere, che voglia rimanere bambino. Nel senso che è contento di quello che fa all’Albero. Prima era sempre con la testa nelle mani e triste, a pensare al padre che è in carcere. E invece da quando c’è l’Albero si è dimenticato anche di quello. Lui, all’Albero, ha la possibilità di essere un bambino, cosa che a Scampia non è scontato. Il fatto che Pasquale faccia il bambino per me che sono la sua mamma è una grande gioia. Da quando c’è l’Albero ho avuto la sensazione che si può tornare a sperare».

«C’è bisogno di gente folle per mandare avanti la nostra normalità», conclude Davide che oltre a prendere in carico i bambini ogni pomeriggio, li aiuta in caso di difficoltà (è riuscito a far fare gli occhiali a diversi bambini che ne avevano bisogno ad esempio) e crea opportunità di incontro e di gioia per nulla scontate a Scampia: cene, feste, serate musicali nonché viaggi in tutta Italia dei bambini con i loro genitori grazie al sostegno delle famiglie ospitanti e di chi, avendo conosciuto il progetto, lo sostiene.

Chi vuole conoscere la vera Scampia dovrebbe visitare l’Albero delle Storie più che affidarsi ad una fiction che ormai ha più del fantascientifico che del reale.

Per supportare l’Associazione di promozione socio-culturale. L’Albero delle storie. Via T. Galimberti, Torre 2, 80145, Rione Scampia – Napoli: IBAN IT05L0306967684510749158056 (Banca Intesa) intestato a “L’Albero delle Storie”. Se vuoi donare il tuo 5×1000 a L’Albero delle Storie C.F. 95216060632

Info: https://www.alberodellestorie.com/

Bibliografia di Davide Cerullo: Ali bruciate. I bambini di Scampia. Paoline Editoriale Libri 2009; Parole evase. Edizioni Gruppo AEPER 2013; La ciurma dei bambini e la sfida al pirata Oz. Dante & Descartes 2013; Diario di un buono a nulla. Scampia, dove la parodia diventa riscatto. Società Editrice Fiorentina 2016; Poesia cruda. Gli irrecuperabili non esistono. Marotta e Cafiero 2017; Dal vangelo secondo Scampia. Tigulliana 2018; Visages de Scampia, les justes de Gomorra, con fotografie di Davide Cerullo e testi de Christian Bobin, Erri De Luca et Ernest Pignon-Ernest. Gallimard 2018; Fiori d’asfalto Davide Cerullo, Paolo Vittoria. Società Editrice Fiorentina 2019.

di Alessandra del Giudice

ABITARE SCAMPIA

di seguito un testo di Davide Cerullo 

La critica è una questione morale. (Walter Benjamin)

Poter esprimere il proprio pensiero credo sia un atto indiscutibile.

Provo con quella che è la mia conoscenza, la mia esperienza, ad abitare il territorio di Scampia praticando la strada e tessendo relazioni. Lo scrivo e ne parlo tutti i giorni, ma è soprattutto nel concreto e nella pratica quotidiana, pur con tutto il carico dei miei limiti e la complessità dei problemi di un territorio con molte zone depressive, che mi sento di rappresentare una Scampia vera, che si trova proprio ad un livello diverso ormai rispetto alla narrazione di Roberto Saviano. Credo che sia finito quell’atteggiamento dell’informazione nei confronti di questi fatti, non solo a Scampia ma un po’ ovunque, che è denuncia nel racconto giornalistico, ma non è finalizzato a capire fino in fondo quello che succede, e soprattutto a convivere con le difficoltà ed approcciarle dal punto di vista giusto, cioè quello dell’umanità delle persone che abitano questi luoghi. Voglio dire senza offesa, Saviano nel suo modo narrativo è proprio vecchio, forse sbaglierò, ma credo che nel giro di un anno questo atteggiamento sembrerà una cosa archeologica.

Da queste parti la violenza ha un fascino terribile che nasce da un’ingiustizia subita e non riscattata, cicatrizzata, e il suo ripetersi come se non ci fosse altro modo o via d’uscita. Spesso nella cornice delle ingiustizie si passa da vittime a carnefici e viceversa, perpetuando il dolore. Per questo credo che la serie Gomorra non sia più una denuncia e che non serva più. A volte ho la sensazione che quando si “campa” solo di denuncia del male, alla fine si voglia perpetuarlo, anche a spese di chi lo subisce. Oggi Scampia non ha bisogno di essere illuminata per le sue catastrofi, o salvata dai suoi traffici; perché la realtà dura da affrontare è che Scampia non ha nessun bisogno di scalare classifiche di degrado.

Non si può pensare di continuare ad offrire solamente un’immagine deformata di un territorio fragile, dando forza al fascinoso luogo comune per la divulgazione retorica e pubblicitaria del proprio nome. Bisogna avere il coraggio di uscire dai recinti del passato, da un linguaggio che si usa per i propri utili di basso valore. Bisogna avere il coraggio e l’onestà di chiudere con il vizio di sentirsi delle vittime o dei supereroi, solo perché si viene da un territorio che è passato attraverso il fuoco. Scampia non è semplicemente il quartiere del malaffare, non è solo il territorio delle camorre che spesso tornano utili a quelli che dicono di combatterle. Bisogna avere il coraggio di fare le cose perché ne sentiamo la responsabilità e non perché ci diano visibilità. Bisogna avere il coraggio di essere disposti veramente a voler cambiare un territorio con le sue innumerevoli complessità, facendo emergere sempre più forte la positività dei tanti che si impegnano tutti i giorni per un bene comune. Bisogna avere il coraggio di rompere con quella nostra incapacità di leggere ambienti diversi dal nostro immaginario abitudinario, per cominciare ad inciampare in possibili speranze.

Penso che se un giorno Scampia non ci fosse più, o meglio, non ci fosse più quella Scampia delle Vele, della camorra, dei senza speranza, il luogo maledetto del degrado sociale, e magari avesse prevalso la Scampia onesta e dignitosa, che pure silenziosamente esiste, molti non saprebbero né più scrivere né più parlare di una Scampia diversa.

Molti giornalisti, scrittori e opinionisti magari meridionalisti, si ritroverebbero di fronte alla scelta dolorosa di dover cambiare posto, eleggendo qualche altro quartiere a simbolo del Male.

Troppe volte in questi anni, soprattutto da Gomorra in poi, ci si è avvicinati a Scampia sperando di replicare con successo la denuncia-racconto di Roberto Saviano: non per cercare davvero di capire questo complicato e difficile territorio, ma per sfruttare questo nuovo immaginario collettivo su Scampia come unica sede della Camorra.

Sinceramente l’Anticamorra gridata come un Vangelo giusto, mi ricorda l’effetto che mi facevano la Chiesa e l’Oratorio da bambino, a me che crescevo nelle zone grigie delle periferie. Tutto bello, tutto solare, tutto pulito, tutto giusto. E quindi non era per me, era lontano dalle mie “colpe”, peccati originali, ambiguità, complessità. Avrei sentito più vicino un profeta dolente e di poche parole, a bassa voce, perché la vita non è sempre chiara, facile. Resistere da dentro alle cose brutte necessita di comprensione, non di scelte definitive, trincee, guerre. L’anticamorra si fa ascoltando, e al boss non si contrappone il supereroe, ma la comunità che resiste e può vincere.

Quindi cerco di proporre la mia versione di “abitare questo luogo” che prende spunto dall’antico significato della parola “abitare” che vuol dire “continuare ad avere” perché è questo che io propongo, qui a Scampia, dove i bambini esistono ed hanno questo posto in maniera continuativa e non solo durante i ciak e le stagioni delle serie tv; questo posto va vissuto esattamente come ogni altro, coltivando piante e prendendosi il tempo per instaurare legami e progetti di futuro.

All’infanzia che rischia di cadere nel tranello ingiusto del sentirsi “predestinata” perché nata in un non luogo, è giusto garantire spazi che possano essere riparati e sicuri proprio qua, per comprendere che il senso di salvezza può diventare di casa anche dove, secondo tutti, c’è solo inferno.

Portare alla portata di tutti il benessere dovrebbe essere un imperativo non solo per chi vive a Scampia, ma anche per quelli che abitano città, colline e deserti altrove, la lontananza dalla criminalità non la sancisce una fuga o un viaggio, ma un progetto che metta al centro l’infanzia e la bellezza.

Alle Vele, come ovunque, un bambino nasce bambino, quindi l’unica soluzione per garantire che possa non sentirsi parte di una tragedia è costruire intorno a lui un’isola del tesoro; ed è questa scelta educativa che dobbiamo portare avanti, smettere di dare per scontato che i problemi siano più grandi rispetto alle mille occasioni di felicità.

Per queste occasioni vale davvero la pena vivere… a Scampia e in ogni altro pezzo di mondo. 

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