ROMA – I barconi della speranza approdavano in Italia nel Maggio 2011. A bordo delle imbarcazioni migliaia di cittadini africani, bengalesi, somali; tutti vivevano e lavoravano in Libia prima del rovesciamento di Gheddafi. Molti di loro, scappati dalle furie dei ribelli, che nei giorni di guerra prendevano e punivano tutti quelli di colore perché in parte assoldati come mercenari dal regime libico. La maggior parte erano semplici lavoratori.
LA STORIA – Tra di loro c’era Shaiful, un profugo del Bangladesh. Ci racconta ancora con le lacrime agli occhi, che lui aveva aperto un negozio di prodotti del suo paese in Libia e stava anche raccogliendone i frutti. Ma da un giorno all’altro si è trovato in un campo profughi a Napoli, senza soldi, senza la sua famiglia e senza un sogno, ci dice con lo sguardo perso nel vuoto. Poi senza staccarsi dal suo nullo ci chiede o forse chiede a se stesso un motivo, una spiegazione “Perchè c’è stata la guerra”?
Mentre parliamo, una voce in Italiano si leva dicendo: “mangeria”. E’ pronto il pasto.
METTERSI IN GIOCO – Nei centri dove sono ospiti, sono garantiti vitto e alloggio, ma non altro. Non c’è stato un vero piano di inserimento, di integrazione. Sono anime parcheggiate in attesa di un documento che gli dia di nuovo la voglia di sperare, di guardare oltre queste mura dei centri. Anche se ci sono esperienze belle, come quella di InyanG. Lui viene dalla Nigeria. L’abbiamo incontrato ad un concerto, ma non da spettatore. Era uno dei cantanti dell’orchestra Multietnica Mediterranea. Inyang è arrivato anche lui nel maggio 2011, sui barconi della speranza. Ci racconta che era sempre in albergo, annoiato, ma grazie ad alcuni volontari di un’associazione è riuscito ad esprimere il suo talento. E con la sua tenacia e voglia di mettersi in gioco è riuscito a trovare la sua strada.
L’EMERGENZA MAL GESTITA – Sonoq uesti solo alcuni esempi che dimostrano come l’immigrazione non sia un peso di cui doversi liberare, anzi una risorsa. Scorrendo, invece, l’emergenza ci si ritrova di fronte a cifre assurde: 25mila euro spesi per ogni singolo richiedente asilo, garantendo solo vitto, alloggio e null’altro, senza dimenticare che i centri che ospitavano i profughi, in molti casi con molta inesperienza, sono stati lasciati non di rado soli da chi gestiva l’emergenza.
LA DENUNCIA – Domani 28  febbraio, intanto, il Viminale farà calare la scure sull’emergenza, dichiarandola finita. Cosa accadrà? Tutto resta incerto. Con buona probabilità   a ciascuno verrà dato il famigerato titolo di viaggio che gli permette di viaggiare in Europa e 500 euro. Ma il documento gli permetterà di essere regolari solo per 90 giorni. Una soluzione che desta preoccupazione tanto in Italia quanto nel resto d’Europa. Un’emergenza durata quasi due anni “Andremo via senza sapere dove, ci sentiamo abbandonati per una seconda volta” è ciò che ci dice abdusalam. Sono venuti qui con una speranza, andranno via con un documento e 500 euro, null’altro.

di Paolo De Martino

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