ROMA –  Secondo Amnesty International la decisione di abolire i campi di rieducazione attraverso il lavoro, diffusa il 15 novembre 2013 dall’agenzia ufficiale Xinhua, sarà una misura di facciata se le autorità non porranno fine alle violazioni dei diritti umani, profondamente radicate nel sistema detentivo complessivo.
I FATTI – Da anni, le autorità cinesi gestiscono più di 300 campi di rieducazione attraverso il lavoro. Questi ospitano centinaia di migliaia di dissidenti. Molte persone vengono inviate, continuamente, in questi campi e vi trascorrono molto tempo senza accusa né processo. «I campi di rieducazione attraverso il lavoro-  ha spiegato Corinna-Barbara Francis, ricercatrice di Amnesty International sulla Cina- sono solo una parte di quell’intricato reticolato di centri di detenzione arbitraria usato dal governo cinese per punire coloro che esercitano i loro diritti umani in un modo giudicato minaccioso dalle autorità. Se la fine della rieducazione attraverso il lavoro rappresenta un passo importante nella giusta direzione, la realtà è che le autorità stanno cercando nuovi modi arbitrari per punire le medesime persone, come ad esempio i cosiddetti ‘centri per il lavaggio del cervello’ o le ‘carceri nere- ha concluso Francis-. Senza un cambiamento radicale delle politiche, grazie alle quali chi presenta un reclamo, chi difende i diritti umani, chi fa parte del Falun Gong e altri ancora vengono presi di mira e puniti, vi è un elevato rischio che si abolisca un sistema di detenzione arbitraria per espanderne un altro»
 

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