I malati di diabete in Italia sono persone responsabili ed esperte nella gestione della malattia, che effettuano con scrupolo le necessarie visite di controllo (il 65% ha consultato almeno una volta nell’ultimo anno un oculista ed il 40% un cardiologo) e tutti gli esami diagnostici necessari, e che svolgono regolarmente attività fisica (56,6%). Solo il 6% è dovuto ricorrere ad un ricovero ospedaliero ed oltre la metà non ha avuto complicanze nell’ultimo anno.
A fronte di tutta questa diligenza dimostrata dai pazienti, bisogna però dire che nella maggior parte dei casi, ognuno ha imparato a gestire la mattia da sé: solo al 20,3% sono stati garantiti corsi sulla gestione della patologia e il 62% fa da tramite tra il medico di medicina generale e lo specialista per garantire l’integrazione.
A rendere le cose più complicate vi è anche una burocrazia fatta di lunghe attese e difficoltà nella vita quotidiana, soprattutto a scuola e nel passaggio all’età adulta. Ma anche grandi difficoltà per il rinnovo della patente e i permessi lavorativi fanno la loro parte.
Le Regioni, inoltre, procedono in ordine sparso anche in presenza di un Piano nazionale diabete, con differenze rilevanti nella organizzazione dei servizi, nella messa a punto ed erogazione dei percorsi diagnostici, terapeutici ed assistenziali, nella imposizione del ticket e nel controllo dei tempi di attesa con cui sono erogati i controlli.
Il quadro sulla gestione della patologia diabetica, sull’attuazione del Piano nazionale Diabete e sulle esperienze dei pazienti emerge dal primo Rapporto civico “Diabete: tra la buona presa in carico e la crisi dei territori”, presentato da Cittadinanzattiva.
“A distanza di sei anni dall’approvazione del Piano Nazionale sulla Malattia Diabetica c’è ancora molto da fare per la piena e concreta attuazione dei diritti delle persone con diabete”, commenta Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato e responsabile nazionale CnAMC di Cittadinanzattiva.
Ancora troppe infatti sono le disuguaglianze regionali nell’accesso ai servizi e alle innovazioni tecnologiche. “Approvare Piani nazionali, recepirli formalmente con Delibere regionali e varare Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali non è sufficiente, serve maggiore e costante attività di verifica sostanziale da parte del Ministero della Salute e delle Regioni sulla loro concreta attuazione, per assicurare cambiamenti nella vita quotidiana delle persone su tutto il territorio nazionale”, continua Aceti.
Chi fa uso di dispositivi innovativi per la gestione del diabete (40%) lo fa per lo più a proprie spese, ad esempio il 49,6% acquista i sensori per la glicemia privatamente, con lo smacco per di più che lo stesso dispositivo risulta essere gratuito in altre Regioni italiane.
Le differenze regionali non finiscono qui: il 21,8% paga un ticket sui farmaci; il 76,6% non ha accesso al numero necessario di strisce o sensori per limitazioni nella prescrizione.
Solo il 12% afferma di essere inserito in un Percorso diagnostico, terapeutico ed assistenziale (PDTA): laddove questo avviene ha degli effetti estremamente positivi sulla qualità di cura e di vita della persona, che riscontra un maggiore controllo della patologia, più informazione ed ascolto e un accompagnamento reale nella cura.
Se la persona con diabete è un bambino, incontra difficoltà nei servizi sanitari ma anche nella vita scolastica. Il 15% dei piccoli è curato in un centro per adulti. Per il 62% dei genitori il servizio nella mensa scolastica non è adeguato, il 78% dichiara che il proprio figlio non ha partecipato, nell’ultimo anno, a corsi per la promozione dell’attività fisica, il 64% non ha ricevuto sostegno psicologico. Spesso si sconta, in ambito scolastico e in altri aspetti della vita del bambino come lo sport, una vera e propria forma di discriminazione.
Rispetto alla vita quotidiana, al di fuori dei servizi sanitari, molte solo le difficoltà e gli ostacoli evitabili. C’è chi rinuncia a rinnovare la patente di guida, specie se costretto a rinnovi frequenti, a causa della lunghezza e complessità delle procedure, oltre che per i costi privati da sostenere. C’è chi rinuncia a chiedere il riconoscimento della legge 104, necessario per avere i permessi lavorativi e curarsi; c’è chi si confronta con distanze, procedure ed orari poco compatibili per ritirare farmaci e dispositivi dalle farmacie. Inoltre, c’è chi deve mettere mano al portafoglio, spendendo in media 867 euro l’anno e fino ad oltre tremila euro l’anno per presidi non riconosciuti.

di Danila Navarra

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