di Giuseppe De Stefano*
Tanti nodi sono venuti al pettine con le crisi che la storia dell’umanità ha conosciuto. Oggi con una innegabile crisi, che è anche di liquidità delle finanze pubbliche, tanti comportamenti  deviati e devianti delle società occidentali stanno maturando,  acquisendo l’inderogabilità delle questioni urgenti. Una fra tante sembra interessare il mondo del volontariato: quella che mette in discussione lo strumento della convenzione. Un mondo che è sembrato singhiozzante sui tagli al welfare è diventato unanimemente corale e frontale sul tema delle convenzioni.
LE CONVENZIONI – Sino a pretendere ed ottenere marce indietro da parte del governo con il beneplacito delle camere. Cosa rappresentano le convenzioni nello stato italiano pre-crisi? Esse sono il principale e privilegiato canale di sostegno alla collaborazione tra lo stato e quel mondo del  volontariato ed imprese sociali che solitamente viene appellato Terzo Settore per semplificare un soggetto pluralissimo della società civile, non facilmente domabile e riconducibile ad un unico intento operativo o rappresentativo. La convenzione supera  la competizione sul mercato affidando, per lo più direttamente, la gestione di servizi a soggetti di Terzo Settore come associazioni di volontariato e/o cooperative di tipo B, etc. Quale la ratio che è dietro questa eccezione della pubblica amministrazione? Esaminiamola soprattutto per il mondo del volontariato a cui almeno esplicitamente affermiamo di appartenere noi delle Fraternite di Misericordia. Laddove il volontariato intervenga, in carenza o assenza di risposte pubbliche o private,in risposta ad istanze particolari delle fasce deboli che non risultino interessanti per il mercato, ci sembra naturale che non ci si possa affidare al mercato per  la selezione di gestori che non esistono. Allora la PA sostiene, con il rimborso delle spese, chi eroga quel servizio che il volontariato si è inventato. Lo Stato così ne facilita la sopravvivenza fidando nel lavoro volontario.  Così nascono centinaia di servizi a cui il privato for profit non avrebbe mai pensato se non altro  per la sporadicità e la esiguità della domanda. È questo il caso canonico in cui nemmeno i monetaristi di Bruxelles avrebbero da invocare la illegittimità o la non opportunità del binario privilegiato della convenzione. In questo caso , infatti,  la convenzione rappresenta il sostegno a quelle attività che pongono la toppa ad un fallimento del mercato.
Ma cosa succede se quel servizio, ad esempio, si espande territorialmente generando una numerosità ed un bisogno di efficienza sociale irrinunciabile e, soprattutto, facendolo diventare tanto importante da interessare le aziende private o la diretta erogazione da parte dello Stato?  Succede che la convenzione con affidamento diretto negherebbe a quel servizio i miglioramenti che possono derivare  dalla concorrenza. È quello il momento in cui la convenzione deve cedere il passo alla gara di appalto soprattutto se il “for profit” riesce a produrre il servizio a costi di impresa e a costi sociali inferiori di quelli di una organizzazione di volontariato!
Come si fa a verificare questa economicità più favorevole alla Pubblica Amministrazione e/o agli utenti dello stesso servizio? Mettendoli in concorrenza! Invitando entrambi alla gara di appalto. Insorgeranno i puristi del diritto: come si fa a mettere a confronto chi paga uno dei principali  fattori produttivi come il lavoro delle donne e degli uomini impegnati e chi per definizione non lo può e non lo deve pagare come le organizzazioni di volontariato!!!
Nulla di strano. Spesso la pubblica amministrazione mette a confronto fornitori che ottimizzano e pagano in maniera diversa i fattori produttivi. Anzi quasi sempre.  Perché, dunque, a pelle ci scandalizziamo se quel fattore è il lavoro? Ovvio, ci sembra scandaloso che chi offre il suo volontariato gratuito, vada a scalfire la potenzialità occupazionale di un territorio. Ma il contraltare è fatto da chi, sempre per definizione, presuppone di dover lucrare sulle condizioni di debolezza delle fasce solitamente utenti dei prodotti  del volontariato. Nulla di scandaloso se le cose si ottimizzino determinando il miglior mix di fattori in una gara tra i vari tipi di organizzazione che intendono presentarsi. Allora per quale motivo il volontariato grida allo scandalo quando si profila all’orizzonte che lo strumento della convenzione venga negato,  ad esempio, per un prodotto tipico come il soccorso in emergenza? Ebbene dobbiamo essere onesti con noi stessi: si sono verificate, per questo tipo di prodotto, speculazioni che hanno deviato dal giusto alveo tanto da affidare a volontari con convenzioni servizi che tranquillamente altre tipologie di organizzazioni saprebbero dare con maggiore efficienza economica e minimizzando i costi sociali correlati. A questo punto mi fermerei  con questo ragionamento, per riprenderlo eventualmente più avanti, e porrei un’altra questione: ma il volontariato cosa dovrebbe fare e cosa non deve assolutamente fare?
IL VOLONTARIATO – Basta guardarne le origini. Le grandi organizzazioni di volontariato che hanno decenni o secoli di vantaggio sulla 266/91 che ha codificato il sistema volontaristico nel nostro paese,  sanno ragionare del volontariato a prescindere dalla legge, partendo non tanto da letture noiose di dettati normativi, ma dal vissuto e dal tramandato che hanno,  forse,  generato, in parte, il dettato normativo. Quando la dignità di una persona non è tutelata da alcun soggetto pubblico o privato, chiunque se ne faccia carico è benemerito. Se, poi, i soggetti  che se ne sono fatti carico, si organizzano per fare fronte ad un numero di casi superiori a quelli che potrebbero risolvere lavorando individualmente, abbiamo operato il miracolo dei pani e dei pesci e benemerita sarà l’organizzazionee le reti che essa sa coltivare. Collegare i servizi alla persona con la dignità dell’uomo è facile, ovvio, naturale, normalmente comune. Al contrario produrre acciaio non avrà mai bisogno della pionieristica offerta del volontariato. Certo anche tutelare un bene culturale o ambientale potrà essere compito del volontariato ma sempre nella logica più ampia di colmare il vuoto nel tutelare un patrimonio fondamentale per l’umanità e per il sistema vitale di cui fa parte. Recentemente dalle mie parti abbiamo scoperto come anche produrre mozzarelle può assumere toni tali da interessare il  terzo settore  per riscattare lavoratrici e lavoratori da pratiche di illegalità che, ovviamente, ne metterebbero in discussione sempre la dignità.  Cosa assolutamente il volontariato non dovrebbe fare? Se nasce per non far lucrare gli uomini sulle disavventure degli uomini, esso mai deve consentire che il volontario svolga questa ignobile funzione. Il principio fondante è assoluto, profondo, indelebile, non modificabile: GRATUITA’. Quando il volontariato nega questo principio acconsentendo a pratiche che deroghino alla gratuità, vanifica la sua ragion d’essere e prima o poi ne paga irreversibilmente le conseguenze perdendo di credibilità e di capacità di conversione rispetto alla società fondata sul profitto per il profitto. Bisogna sicuramente stabilire il confine tra il rimborso delle spese e la remunerazione di una persona. Bisogna affinare gli strumenti di demarcazione tra l’essere lavoratore e vivere gli impegni ed il servizio da volontario, tra l’essere lavoratore onesto e lavoratore in nero. Sono queste le funzioni storiche del volontariato soprattutto nelle terre dove il lavoro scarseggia. Bisogna assicurare che chi governa il volontariato sia volontario in maniera totale e non detenga benefit irragionevoli con il suo status. Bisogna che le organizzazioni di volontariato, di qualunque estrazione e di qualunque livello, abbiano dimensioni consone ai territori che servono. E se cresce? Il resto è incubazione di impresa, di impresa sana, di impresa etica, di patto leale tra associazione e società civile che non debordi da alvei razionali del pionierismo del volontariato mantenendo funzioni proprie come la vigilanza, la denuncia, l’attivazione della cittadinanza, la rappresentanza dell’utenza debole, il calmieramento dei mercati dell’assistenza sociale, della sanità, delle garanzie culturali ed ambientali. E le istituzioni pubbliche?
LO STATO – E’ il soggetto regolatore di questo processo fondamentale dello sviluppo e soprattutto della sostenibilità dello sviluppo, della sua coerenza con i principi moderni di organizzazione statuale. Uno stato gestore è agli antipodi dello stato che garantisce dignità costituzionale ai corpi intermedi. Lo stato li promuove, li sostiene se stanno nella logica dello sviluppo armonico della società. Lo stato deprime ed osteggia la crescita deviata di improprie evoluzioni che propugnano la crescita all’infinito del pioniere oltre la sua funzione, ne riconosce i meriti ma non consente che i meriti distorcano le funzioni. Detto meglio e fuor di metafora: il cittadino attivo dopo la fase di attivazione diventa cittadino modello ma cittadino e basta,  non il cuscinetto di ammortizzazione delle inefficienze dello stato abusando di questo ruolo. Questa è patologia. Lo stato regola il processo determinando la cifra oltre il quale il volontariato deve produrre impresa e renderla autonoma. Lo stato non abusa del volontariato che abusa dei suoi meriti! Lo stato che pretenda questo è uno stato che scarnifica l’azione volontaria della sua principale caratteristica e ne determina una mutazione genetica irreversibile vanificando le migliori energie della società che rappresenta. Questo è volontariato di stato!
L’INCONTRO TRA STATO E VOLONTARIATO – Potrebbe essere la convenzione? Sarebbe la massima volgarizzazione dell’incontro. Anche se dobbiamo ammettere che lo è stato nella stragrande maggioranza dei casi dal 1991 ad oggi. E tuttora resta in questi termini. Appena lo Stato ha detto che l’istituto della convenzione poteva essere messa in discussione finalmente il volontariato ha reagito, ha rivendicato, ha protestato. Non lo aveva fatto con la stessa forza quando lo Stato aveva tolto risorse alle fasce deboli, quando la politica monetaria ha privilegiato le banche ai poveri, quando la crisi stava minando la coesione e la stabilità sociale nel mediterraneo. Pericolo ancora in corso ma da cui stiamo opportunisticamente distratti. Non lo fa di fronte alle migrazioni bibliche. Anzi alla generazione economicistica di guerre da terzo millennio si offre supplenza a basso costo senza preoccuparsi anche di quelle che sono le sue principali funzioni e di cui abbiamo detto. Un antico educatore sosteneva che “non è mai troppo tardi”. Se la battaglia sulle convenzioni tenesse queste motivazioni, il vecchio maestro avrebbe ragione ed offrirebbe una grande opportunità di riscatto alla forza potenziale del funzionariato del volontariato che chiede solo di entrare in parlamento per adeguarsi ad esso non per fargli fare un percorso di miglioramento. Il volontariato che si dichiara soddisfatto del mantenimento dello strumento convenzionale e dell’approvazione di qualche provvidenziale emendamento, si accontenta di una scaramuccia vinta nei confronti di una guerra totale che si sta consumando in sua assenza. È un volontariato che rinuncia ad essere lievito e fermento per diventare olio lubrificante di microprocessi striscianti. È un volontariato che guarda alla rivoluzione del futuro con i paraocchi del passato. È un volontariato che non cerca riscatto cedendo al ricatto!

* membro del Consiglio Direttivo di CSVnet

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