Dopo tre giorni di negoziati, si è conclusa anche la seconda parte della Cop16 sulla biodiversità, interrotta a Cali nel novembre 2024 e ripresa alla sede Fao di Roma dal 25 al 27 febbraio 2025, con una strategia comune per mobilitare le risorse finanziarie necessarie per la protezione della biodiversità.
“Qualche passo avanti ma c’è ancora molto da fare- spiegano da Legambiente in una nota pubblicata sul proprio portale- Il negoziato di Roma appare comunque come è un accordo in chiaroscuro, con qualche significativo passo avanti ma ancora con molte incertezze evidenziate dal fatto che molte delle risoluzioni appaiono solo come buone intenzioni già evidenziate dalle precedenti COP ma senza ulteriori fatti concreti. Ben venga da un lato la conferma a mobilitare a favore della biodiversità almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, anche se le modalità con cui avverrà la gestione dei finanziamenti saranno determinate solo nel 2028.
Anche il riferimento all’obiettivo di ridurre, invece, i sussidi alle attività dannose per la natura di almeno 500 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 appare come una buona intenzione, peccato però che non sia stata definita una cornice di riferimento ad azioni concrete che vincolino gli stati a delle coperture chiare rispetto al taglio di questi sussidi.
Riguardo invece la conferma del cosiddetto Cali Fund, previsto nella prima sessione della COP16 a Cali in Colombia lo scorso autunno e che ha l’obiettivo di mobilitare risorse finanziarie dalle aziende e dalle multinazionali che traggono profitto dallo sfruttamento dei dati genetici sequenziati digitalmente di specie animali e vegetali, si è persa un’importante occasione per renderlo obbligatorio. Questo fondo comune resta infatti uno strumento su base volontaria e occorrerà vedere quante aziende vorranno comunicare la propria volontà di contribuire a ciò. Stando a quanto emerso dalla COP16 di Roma questo fondo comune sarebbe reinvestito nella tutela della natura e in iniziative per la conservazione della biodiversità prevedendo che il 50% sia destinato alle popolazioni indigene e alle comunità locali.
Oltre a quello finanziario- prosegue la nota- l’altro punto nodale della discussione è stato quello del monitoraggio per misurare il raggiungimento degli obiettivi delle misure attuate e da attuare per la biodiversità, e quindi misurare i progressi compiuti sia per ottimizzare gli investimenti e sia per avere risultati concreti. Dall’appuntamento di Roma è stato approvato anche un pacchetto di indicatori per misurare tutti i 23 obiettivi in cui si articola il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF). Un passo incoraggiante e significativo”.
L’assenza dell’Italia – “Riguardo il ruolo dell’Italia – si legge ancora- che in questa COP16 si è mostrata del tutto assente con il MASE che ha totalmente sottovalutato l’importanza di questo appuntamento, chiediamo un serio impegno per rispettare quanto stabilito in questo vertice internazionale e un’accelerazione nel recuperare anche i ritardi rispetto agli obiettivi 2030 fissati nella Strategia Europea per la biodiversità, come abbiamo esplicitato anche nelle proposte indirizzate al Governo Meloni e riassunte nel nostro ultimo report Natura selvatica a rischio in Italia”.