ROMA. Uno studio pubblicato su Current Biology offre per la prima volta una prospettiva genetica sull’origine e la storia demografica delle popolazioni di lingua romanes/romani, chiamati spesso zingari o gitani. La ricerca, coordinata da David Comas dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona e da Manfred Kayser della Erasmus University di Rotterdam, identifica le tappe percorse da un gruppo etnico che costituisce oggi la più estesa minoranza europea: 11 milioni di individui, sparsi sull’intero continente.

DAL GENOMA – I popoli romanes/romani, a cui appartengono rom e sinti, non dispongono di testimonianze storiche scritte che ne raccontino le origini e la dispersione. Gli scienziati hanno quindi analizzato i dati relativi al genoma di tredici gruppi distinti di romanes/romani, raccolti in diverse regioni d’Europa. L’origine geografica del cosiddetto «gruppo fondatore» è stata confermata nel subocontinente indiano, nelle regioni nord e nord-ovest (che cadono in gran parte nell’odierno Pakistan); in più, è stato possibile datare la sua probabile formazione, risalente a 1.500 anni fa. Da allora in poi, la storia dei gitani è stata tutta un lungo viaggio verso occidente.
MIGRAZIONE – Secondo Manfred Kayser, «da un punto di vista genetico, i romanes/romani condividono una storia unica, caratterizzata da due elementi: le radici geografiche e la mescolanza con europei accumulata nel corso della loro migrazione». Se le indagini genetiche hanno fornito informazioni storiche e geografiche, è opportuno ricordare che questo non comporta affatto l’individuazione di un «gene zingaro»: geneticamente, qualsiasi pretesa razziale è priva di senso.
EUROPEI – Lo studio racconta piuttosto di un lungo percorso, scandito da ibridazioni genetiche con le popolazioni mediorientali, poi con quelle anatoliche, poi con le balcaniche – fino a quando, circa 900 anni or sono, i romanes/romani giunsero in Europa: quasi un millennio di permanenza, ormai, che permette senza dubbio di definirli una popolazione del continente europeo. Strumentalizzare le analisi genetiche come prova della propria origine è un trucco ormai ritrito (recente è l’episodio di un politico ungherese di estrema destra che, prove alla mano, si è fatto dichiarare privo di ascendenze ebraiche e gitane).
DNA – «Ma gli scienziati sanno bene», afferma l’epistemologo Telmo Pievani, «che cercare la purezza genetica in una popolazione – pensare cioè di essere puri ungheresi, puri tedeschi o puri italiani non ha alcun fondamento. Ciò che i genetisti trovano attraverso queste indagini sono in realtà pochissimi marcatori, immersi in 3,5 miliardi di basi nucleotidiche che compongono il nostro Dna. Se sono fortunati, e se il gruppo esaminato non si è troppo meticciato, questi elementi danno qualche indicazione sull’origine geografica di una popolazione. La tecnica utilizzata per questo studio è la stessa che ha permesso di capire come l’Homo sapiens è uscito dall’Africa, come si è diffuso in tutto il mondo, e come si è formata la diversità umana».
MAPPATURA – Mappature di questo tipo, spiega Pievani, «sono possibili solo con popolazioni molto piccole, che hanno vissuto in un certo isolamento. Non è possibile trovare mutazioni genetiche tipiche degli italiani o degli svedesi; lo possiamo fare invece con gli askenaziti e i sefarditi, che sono stati in passato popolazioni molto ridotte». Lavorando su contesti più ampi – considerando per esempio l’intera popolazione italiana – è possibile ricavare mappe che individuano in zone specifiche caratteristiche genetiche particolari. Isole genetiche sono state identificate nella provincia dell’Ogliastra, in Sardegna; in alcune vallate tra Liguria e Toscana (dove esistono tracce di popolazioni proto o pre-indoeuropee) e nella Toscana nord-orientale, dove alcuni marcatori sono stati fatti risalire agli etruschi. «In alcune zone», conclude Pievani, «ci potrebbero essere rimasugli genetici di vecchie storie. Oltre a questo però non si può dire».

di Elisabetta Curzel (da www.corriere.it)

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