La creazione di nuove strutture di accoglienza integrando i vari servizi e mettendo al centro la responsabilizzazione delle stesse persone fragili da supportare. Dal Comune di Napoli tentano un approccio diverso alla questione della tutela dei senza fissa dimora, tema delicatissimo e che la pandemia ha reso ancora più problematico. Anzitutto i numeri: secondo l’ultima rilevazione disponibile diffusa da Palazzo San Giacomo relativa all’anno 2018, in città venivano individuati 1425 clochard in prevalenza uomini (al 78%). Negli anni successivi, arrivando dunque ai giorni nostri, il dato ha subito un incremento del 24% che porta il totale a circa 2000 persone senza fissa dimora tra italiani e stranieri. Ognuno ha una storia alle spalle fatto di abbandono, traumi, difficoltà. Diversi scontano problemi di alcolismo, un’altra parte soffre di disturbi psichici segno tangibile della necessità di intervenire su più livelli e in sinergia.

L’azione del Comune e le difficoltà– Quello che attiene al Comune è ora prerogativa dell’assessore con delega al Contrasto alla Povertà Giovanni Pagano, che non nasconde le difficoltà. «Scontiamo, fra le altre cose, una carenza di organico. Basti pensare come ci siano attualmente a disposizione soltanto 8 assistenti sociali tra privato sociale e dipendenti comunali che devono occuparsi di 2000 persone. Così prendersi cura dei senza fissa dimora è complicato e molto spesso il problema viene abbandonato sulle spalle degli enti locali che fanno ciò che possono». Dunque, come ovviare a situazioni in certi casi davvero scabrose come ad esempio quelle della zona di piazza Garibaldi e piazza Cavour, la Galleria Umberto I, via Toledo senza contare il parco della Marinella, che generano tantissimi malumori tra i residenti? Pagano risponde: «Lavanderie pubbliche e bagni pubblici, le cosiddette strutture a bassa soglia, con il coinvolgimento delle associazioni e degli stessi clochard da inserire in percorsi di recupero di se stessi. Strutture di accoglienza che il Comune deve gestire in autonomia e sui grossi assembramenti (è proprio il caso del Parco della Marinella ndr.) è necessario coordinarsi con la Prefettura, con Regione Campania. Stiamo inoltre vagliando anche l’ipotesi di utilizzare dei bus che recuperino le persone in strada» riannodando il filo del discorso dell’accoglienza ad un certo punto interrottosi. Napoli ha un solo dormitorio (in alcune città non esistono): quello di via Giuseppe De Blasis, che può ospitare ospita attualmente 120 persone ma che attraverso un progetto di ampliamento arriverà a 190. Nel frattempo, in lista d’attesa per un letto, ci sono ulteriori 180 senza fissa dimora. Al dormitorio si aggiungono La Palma, che ha 85 posti letto e La Tenda, con 40 posti letto, strutture situate al Rione Sanità e che fanno riferimento al Servizio Politiche d’Inclusione del Comune. Numeri comunque insufficienti se si vuole superare l’emergenza andando oltre alla semplice, seppur importante, apertura serale delle stazioni metro Anm dove i clochard trovano riparo soprattutto nei periodi più freddi dell’anno utilizzando anche i servizi igienici.

L’azione dell’Asl Igiene Mentale– Diversi i casi di disturbi psichici tra i senza fissa dimora, che la difficile vita per strada possono far peggiorare insieme ai problemi di alcolismo e depressione. E qui si staglia un aspetto della questione: la cura mentale. Fedele Maurano direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’Asl Napoli 1 Centro, che di recente ha partecipato ad una commissione comunale sull’argomento contrasto alla povertà, cerca però di fare chiarezza: «Si sbaglia a pensare che tutti i senza fissa dimora abbiano problemi mentali, non è così. La media è del 10% o poco più. Ma senza dubbio l’approccio per il sostegno a queste persone deve essere su più livelli. Ci sono associazioni come il Camper che è arrivata a raddoppiare il numero di clochard assistiti in questo periodo, discorso simile per il Binario della Solidarietà della Caritas e non solo». Ma sulla questione di una possibile attivazione di cura dell’igiene mentale non si può essere superficiali e Maurano va anche qui nel concreto. «Se, per ipotesi, come è successo, una persona non europea per motivi religiosi preferisce non sottoporsi ad un prelievo di sangue può essere tacciato di avere un disturbo psichico ma non è affatto detto sia così».

di Antonio Sabbatino