di Gianni Di Lascio
MILANO. Soffiano venti di guerra sulla giornata conclusiva della quarta Conferenza mondiale “Science for peace”, il progetto che sotto la guida della Fondazione Umberto Veronesi diffonde nel mondo dal 2009 la cultura della pace. Sullo schermo dell’Aula Magna dell’università Bocconi di Milano scorrono immagini di bare allineate e di madri che portano in braccio i figli morti mentre intorno tutto salta per aria. Conflitti in atto in diversi Paesi del mondo, e troppo spesso dimenticati, e nuove esplosioni di violenza nei cieli di Tel Aviv o tra le case della Striscia di Gaza. Vittime, ancora una volta, solo vittime. E proprio mentre a fare da contraltare si levano nella sala le note dell’orchestra del maestro Daniel Barenboim (direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano) in cui suonano insieme proprio giovani palestinesi e giovani israeliani.
GROSSMAN. Grande emozione ieri, quando a prendere la parola è stato lo scrittore israeliano David Grossman, al quale “Science for Peace” ha assegnato l’Art for Peace Award 2012. «Come ci ha svelato la scienza, non c’è l’aggressività nel Dna dell’uomo», ha sottolineato lo scrittore che nel 2006 ha perso il figlio Uri nella guerra del Libano. «Ma vivere in mezzo alla guerra cambia questo Dna, produce dentro di te il sospetto, la paura e il dolore». Dalla sua testimonianza arriva un’esortazione per tutti, una lezione da tenere bene a mente: per cercare e costruire la pace, bisogna spegnere dentro di sé questa violenza reattiva, e considerare fuori dalla legge umana l’istinto della vendetta. Ne è convinto anche il presidente di “Science for Peace”, il professor Umberto Veronesi. Per lui la pace e la dignità dell’uomo sono una speranza onnicomprensiva, il simbolo di un impegno totale che può essere fatto proprio da ogni individuo. Un nuovo percorso di vita e di pensiero che va dal rifiuto della guerra alla lotta per l’abolizione della pena di morte fino alla cancellazione dell’ergastolo a vita. «Per costruire la pace bisogna resistere al desiderio di vendetta – ha
sottolineato Veronesi – senza mai stancarsi di portare nella società civile la luce della ragione».
EBADI. Ma dalla conferenza di Milano è giunto anche un altro invito: costruire la pace è anche far conoscere a tutto il mondo la violenza dei Paesi dove i diritti umani non sono riconosciuti, e dove è negata perfino la libertà delle idee. Portavoce l’iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace nel 2003, avvocato e attivista dei diritti umani. Quasi un emblema in uno Stato come l’Iran in cui molti comportamenti altrove normali, come essere omosessuali o bere alcolici più di tre volte nella vita, sono delitti puniti anche con la morte. Ma “Science for peace” è stata anche megafono di testimonianze e fatti concreti. Un esempio? La nascita di una task force medica itinerante per fare informazione sul tumore al seno nelle regioni colpite da conflitti o in stato di grave necessità. Proprio quest’anno, infatti, grazie a “Science for peace” ha aperto un ambulatorio di diagnosi del tumore al seno presso il Maternity Hospital di Herat, in Afghanistan. La gestione sarà affidata alla radiologa afgana Farzana Rasouli dopo un training di 60 giorni in Italia. Piccole, grandi conquiste nel difficile cammino verso un mondo diverso. Un mondo dove soffiano ancora venti di guerra. Ma, come hanno dimostrato in questi due giorni scienziati, intellettuali, premi Nobel e gente comune, con l’impegno di tutti il vento può, deve cambiare.
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