ROMA. L’Italia è il terz’ultimo paese Ocse, davanti a Turchia e Messico, per livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro: 51% contro una media Ocse del 65%. Meno del 30% dei bambini italiani al di sotto dei tre anni usufruisce dei servizi all’infanzia e il 33% circa delle donne Italiane lavora part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari (la media Ocse è 24%). Il tempo dedicato dalle donne italiane al lavoro domestico e di cura – in media 3,6 ore al giorno in più rispetto agli uomini – limita la loro partecipazione al lavoro retribuito.

I DATI Le proiezioni Ocse mostrano che – a parità di altre condizioni – se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i livelli maschili, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il PIL pro-capite crescerebbe di 1 punto percentuale l’anno.
Le differenze di genere nei salari, nel settore di occupazione e nella progressione professionale sono meno pronunciate in Italia che in altri paesi Ocse poiché, più che altrove, le donne con salari più bassi hanno maggiore probabilità di lasciare il mercato del lavoro. Nel 2010 le donne erano un terzo dei manager e, nel 2009, il 7% dei membri dei consigli di amministrazione delle aziende quotate (media Ocse 10%). Le donne italiane continuano inoltre ad essere una minoranza tra gli imprenditori e si concentrano in imprese di piccole e medie dimensioni: nel 2010 il 22% degli imprenditori con lavoratori dipendenti erano donne, ma il loro reddito era solo la metà di quello degli uomini nella stessa categoria.

di Mirko Dioneo

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