Una facciata storica restituita alla città! Ecco ciò che ora napoletani e turisti possono ammirare quando passano per del Gesù Nuovo. I ponteggi, che per quasi un anno avevano tenuto nascosto un intenso lavoro di ripulitura e restauro, ora sono scomparsi. La facciata “si svela” come mai avvenuto prima e scopriamo “non solo una facciata”.

Le bugne caratteristiche che rendono il Gesù Nuovo di Napoli un monumento di interesse internazionale sono state riportate alle tonalità originarie del loro piperno. Adesso le ammiriamo così come le potevano vedere i loro costruttori nel 1470 ben prima che questa facciata diventasse la facciata di una chiesa. Infatti, all’origine, questa era la facciata del palazzo nobiliare che i principi Sanseverino di Salerno fecero costruire in un luogo di Napoli da dove potevano (allora!) facilmente osservare il porto. In una lapide conservata sulla sinistra della facciata compare anche il nome dell’architetto: Novello di San Lucano.

A questo nome si associano molte delle teorie che da anni hanno tentato di interpretare i segni che gli scalpellini hanno lasciato in molte di queste bugne. Si sono ipotizzate simbologie iniziatiche o percorsi di energia. Illazioni, forse, suscitate dalla forma piramidale del bugnato e dal richiamo alle “punte di diamante”, oltre che da alcune rassomiglianze fra questi segni e alcune lettere di alfabeti antichi. Una quindicina di anni fa, due musicologi ungheresi hanno provato a trasformare questi segni in note musicali e hanno prodotto la melodia “Enigma” che è senza dubbio suggestiva. Ma, per l’esattezza storica, bisogna ricordare che diverse di queste bugne sono state spostate nel corso della storia. Se una melodia c’è, non è certamente quella originale. Molto più semplicemente, gli storici ricordano che questo tipo di segni lasciati dagli scalpellini esistono in un numero enorme di opere architettoniche medievali. Essi corrispondono per lo più ai segni di riconoscimento delle diverse maestranze e servivano al conteggio del lavoro fornito, in vista della retribuzione (soprattutto quando il lavoro veniva interrotto e le pietre dovevano essere lasciate in giacenza per lunghi periodi).

Ma forse “l’enigma” più intrigante è il senso che i gesuiti vollero dare a questa facciata quando, nel 1585, acquistarono il palazzo per trasformarlo in chiesa. Per costruire il Gesù Nuovo, il gesuita architetto Giuseppe Valeriano e i suoi successori dovettero distruggere tutto l’interno del palazzo, ma decisero di mantenere la facciata. Nel 1598 aprirono i tre grandi finestroni in corrispondenza dei portali d’entrata e delle tre navate interne. Sopra il finestrone centrale si può leggere: “non est in alio aliquo salus”. Si tratta di una citazione biblica che troviamo nel primo processo fatto a Pietro e Giovanni raccontato nel cap. 4 degli Atti degli Apostoli. È la risposta dei due apostoli ai loro accusatori: “In nessun altro [sottointeso: “che in Gesù Cristo”] c’è salvezza”. E la frase continua: “non vi è sotto il cielo altro Nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12).

Questa frase “proclamata” dall’alto della facciata a tutta la città di Napoli è già in collegamento con la spiritualità del “Nome di Gesù” a cui è dedicata la chiesa.

Ma c’è di più. Un’altra modifica – apportata dai gesuiti – fu il rimarcare l’inquadratura del portale principale con un enorme timpano spezzato. In cima riconosciamo due angeli, in qualche modo “raddoppiati” da altri due angeli più grandi, adagiati sulle pendici laterali del timpano. Ebbene queste coppie di angeli sono un esplicito richiamo ai due angeli situati sopra il coperchio dell’arca dell’alleanza nel “sancta sanctorum” del Tempio di Gerusalemme.

È una simbologia ben conosciuta nella storia dell’architettura cristiana, che ha sempre voluto collegarsi al Tempio di Salomone come fonte di ogni architettura “biblica”. Ma i gesuiti raccolgono questa tradizione intrecciandola con la mistica del “Nome di Gesù”. In effetti, è fra i due cherubini dell’arca dell’alleanza, nel “sancta sanctorum”, che il Sommo Sacerdote poteva una volta l’anno pronunciare il Nome di Dio (altrimenti impronunciabile) ed aspettare la risposta di Dio (da riportare al popolo che aspettava fuori).

Allora non è un caso se proprio fra i due angeli del nostro timpano spezzato riconosciamo il “Nome di Gesù”. Le lettere IHS ne sono infatti la mistica abbreviazione: se le leggiamo in greco esse corrispondono alle tre prime lettere del nome di Gesù, e se le leggiamo in latino esse sono l’acrostico dell’espressione “Iesus Hominum Salvator” (“Gesù Salvatore degli uomini”). Dove “Salvatore” dice la radice ebraica del Nome “Gesù” (in ebraico “Ieshua” significa “Dio salva”). Erano queste, coincidenze linguistiche che incantavano gli animi degli umanisti.

La stessa “doppia coppia” di angeli si ritroverà all’interno, nell’altro “grande ingresso” della chiesa che è, nella simbologia dello spazio sacro, l’abside. È dall’abside che Dio “entra” nella chiesa, in questo caso attraverso la carne immacolata di Maria (l’altra intitolazione della chiesa). Essa si situa fra i due angeli come quel vuoto fra i due cherubini del “sancta sanctorum” da dove Dio “entrava”, cioè si faceva presente e rispondeva, dopo che si era pronunciato il Suo Nome. Scopriamo allora che c’è un’intima connessione fra facciata e abside. Con questo sottile gioco di rimandi, i gesuiti del ‘600 suggerivano, a chi si fermava davanti alla facciata, che in questa chiesa avrebbero potuto fare come il Sommo Sacerdote: pronunciare il Sacro Nome e incontrare la “Risposta di Dio”. Essa è, secondo questa simbologia, il “Verbo fatto carne” in Maria Immacolata. Cioè “IHS”, Gesù Salvatore degli uomini.

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