Uno sguardo capace finalmente di scorgere un orizzonte oltre le fredde mura della prigione grazie ad attività all’esterno del carcere, alle quali hanno avuto di recente accesso. Antonietta e Alessio – nomi di fantasia – sono entrambi detenuti attualmente in regime di semilibertà. Grazie a progetti di reinserimento sociale e lavorativo portati avanti dalla Cooperativa l’Uomo e il Legno di Scampia, per loro il sogno di un futuro irradiato dal sole della speranza può ancora diventare realtà.
La storia di Antonietta– Antonietta nei suoi occhi, che in diverse occasioni si bagnano di lacrime, ha un velo di profonda tristezza. Deve scontare ancora diversi anni prima di estinguere il proprio debito con la giustizia italiana. «Il reato per cui sono stata riconosciuta colpevole – ci dice subito – l’ho commesso unicamente perché la mia situazione familiare era complicata. Dovevo accudire i miei figli, pagare le utenze, l’affitto. C’erano parecchi ostacoli da superare, in molte occasioni ho davvero conosciuto l’inferno contro cui combattevo da sola». Qui Antonietta si ferma un attimo, inizia a piangere poi però si fa forza e continua il suo racconto in cui non omette diverse considerazioni sulle difficoltà all’interno delle carceri. «Quando sono entrata per la prima volta mi sono ritrovata in una stanza con una decina di persone: una sensazione indescrivibile insieme a quella del primo colloquio con i familiari. All’inizio la convivenza è stata durissima. Ho fatto di tutto per non perdere il mio equilibrio mentale, evitando di litigare. Volevo mantenere la tranquillità ma di persone con la testa calda ce n’erano parecchie». In proposito Antonietta rivela una cosa che aiuta a comprendere quanto un detenuto possa chiudersi nella propria sofferenza interiore durante il periodo detentivo. «Sono riuscita a instaurare buoni rapporti soltanto con le educatrici, meno con gli psicologi. Forse ero troppo timida». Passato il battesimo del fuoco, Antonietta cerca di darsi da fare. Accedendo all’articolo 21 che regolamenta le modalità per un detenuto di essere inseriti in vari progetti, comincia ad occuparsi di diverse attività. «Pulivo le stanze del direttore e dell’amministrazione del carcere, mi occupavo di portare il vitto e del servizio di lavanderia. In questi momenti era come se mi sentissi libera e non come una persona che doveva scontare una pena. Almeno rientravo tardi in cella, ci stavo poco. Era una bella sensazione».
La semilibertà, le difficoltà e l’Uomo e il Legno-Per Antonietta tutto questo non basta, vuole svoltare nel proprio percorso verso il reinserimento nella società. Un passo importante in tal senso è quello dell’ottenimento, circa un anno fa, della semilibertà, che significa ogni giorno uscire dal carcere alle 7 del mattino per rientrare alle 22. Sembra una prima svolta, in realtà qualcosa va storto. Antonietta dice: «Ero impegnata a seguire un corso e qualcuno che aveva potere decisionale mi accusò di fumare hashish insieme ad altre detenute. Credetemi, non l’ho mai fatto perché non consumo droga» aggiungendo di «non essere mai stata sottoposta ad alcun test tossicologico. Avrebbero scoperto la verità». Questo inciampo, dopo solo 2 settimane l’ottenimento della semilibertà, ha delle conseguenze. «Sono stata sospesa dal corso e al contrario di altre detenute non sono riuscita ad ottenere un impiego. Che mazzata!». Altra delusione per Antonietta, la qualità delle ore di volontariato passate all’esterno del carcere presso un’importante parrocchia. «Dalle 9 alle 13 dovevo occuparmi delle pulizie, cosa mai accaduta. Chiedevo alla mia amica che mi consigliò di chiedere al magistrato di accedere a questa opportunità: “Quando prendo lo straccio in mano?’’. Passavo il tempo ad aspettare». Per Antonietta ciò è un barometro che attesta come nel sistema carcerario italiano «le falle siano molte. Mancano realmente progetti per chi vuole riscattarsi». Ma il destino a volte smette di accanirsi e porge l’altra guancia. Antonietta alla fine del 2023 tramite un conoscente riesce a incontrare la presidente de L’Uomo il Legno, Rita Caprio. Grazie alla cooperativa, nelle ore di libera uscita comincia a impegnarsi in attività di cura all’interno della sede di viale della Resistenza. «Anche se volontaria, mi sento parte integrante della cooperativa. Faccio le pulizie, do una mano nel preparare delle pietanze. Tutto questo mi aiuta a non pensare al fatto che sia ancora in regime di semilibertà, comunque scocciante perché il trasporto è a spese mie». Antonietta adesso ha di nuovo una speranza, una prospettiva di vita oltre la pena sebbene il mondo esterno faccia ancora paura. Dopo la piena riacquisizione della libertà, quale sarà il percorso? Antonietta risponde: «Vorrei continuare a fare le pulizie, mi piace e mi distrae. Se sono nervosa devo smontare la casa per tranquillizzarmi – scherza ma non troppo – Io ho mille sogni, spero di realizzarli ma psicologicamente non sto bene. Devo continuare a resistere. Sono bene che trovare lavoro è complicato».
Vivere giorno per giorno-«Vivo giorno per giorno. Mi sto svegliando soltanto adesso, vedremo più avanti cosa il futuro ci riserverà». Alessio ha quel fatalismo che forse è uno dei tratti distintivi di chi si trova a scontare una lunga pena detentiva. Anche lui è per la prima volta in semilibertà, dalla metà del 2023. E anche lui ogni giorno esce dall’ultima Casa Circondariale in cui è stato trasferito per recarsi a L’Uomo e il Legno occupandosi della manutenzione del verde. «Conosco bene il sistema carcerario e quello di sorveglianza – afferma Alessio – Vista anche la situazione delle carceri italiane, che non era e non è delle migliori, mi sento fortunato ad aver avuto questi benefici a cui. Non tutti riescono ad accedervi». Alessio fa un esempio concreto per spiegare le difficoltà di un detenuto a cercare di riprendere in mano la propria vita. «In ospedale vai per curarti, per essere operato o per riparare a un errore di un medico. Ma se non ti curano, rimani da solo con te stesso e lasciare un uomo con se stesso in una cella significa abbandonarlo. Qualcuno riemerge, per altri non è così. Molte persone – insiste Alessio – spesso si lamentano quando qualcuno viene fatto uscire dal carcere nonostante diversi reati commessi. Ma, mi domando: in tutti questi anni il sistema carcerario cosa ha fatto fare a quel detenuto? Cella, passeggio nelle ore d’aria e poco altro. Ci vorrebbe un numero maggiore di corsi e di opportunità di recupero. La società deve entrare nelle carceri, dialogare con i detenuti. Il sistema carcerario ti mangia, ti ingurgita e devi adattarti. Non è affatto semplice».
Come un bambino ai primi passi- Alessio sceglie una metafora per descrivere il suo attuale momento, che coincide con l’esperienza all’esterno del carcere grazie a L’Uomo e il Legno. «La mia vita comincia ora. Sto gattonando come i bambini e come i bambini sento di dover conoscere ancora tante cose del mondo». Alessio confida di aver «preso visione che sono fuori dal carcere. Prima per me non era andare fuori, ma restarci anche quando usufruivo del permesso per vedere i miei familiari. Si trattava solo di un meccanismo, ora invece gli orizzonti si stanno allargando. Nel mio percorso carcerario non guardavo al di là del muro, non me ne staccavo, adesso è diverso ed è una bella sensazione».
Le considerazioni della presidente Caprio– La cooperativa L’Uomo e il Legno da quasi 10 anni gestisce un tenimento agricolo di 2 ettari di terreno all’interno del carcere Pasquale Mandato di Secondigliano, grazie a un accordo di comodato d’uso. A curare l’orto sono proprio i detenuti della struttura. Da quasi due mesi, peraltro, un progetto simile vede protagonista la cooperativa al carcere di Carinola. Attualmente sono una decina i detenuti che si impegnano nella sede di Scampia della cooperativa sociale. «Quando entro in carcere – spiega la presidente Rita Caprio – non entro con la paura di andarci ma con un altro spirito, quello cioè aiutare i detenuti ad avere uno spiraglio di luce che in qualche modo manca. Anche un semplice sorriso cambia loro la giornata». Tenere questo comportamento è per Caprio un modo per «sviluppare un mio personale benessere psicofisico. Ricordo di essermi sentita così la prima volta in cui sono entrata in contatto diretto con questo mondo per organizzare insieme al garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello un pranzo all’interno del carcere ma fuori le celle. Poi, però, quando senti il rumore delle chiavi che rinchiudono i detenuti, ti lascia sempre un segno nel cuore». La presidente de l’Uomo e il Legno sente di dover chiarire l’approccio rispetto alle progettualità con i detenuti, per evitare qualsiasi equivoco. «La cooperativa non ci guadagna con i detenuti, lo facciamo soltanto per dare loro un’opportunità visto che stiamo parlando di persone che non hanno avuto la nostra stessa fortuna ma una vita più complicata». Insiste: «Non vogliamo essere schiavi di un sistema, ma andare avanti per la nostra strada. Questo è un progetto di vita e non vogliamo dipendere da nessuno, per questo non abbiamo mai chiesto supporto. Se c’è ben venga (noi facciamo fronte a tutte le spese) ma, se non lo otteniamo, proseguiamo lo stesso». Poi Rita Caprio conclude così: «C’è un interscambio di esperienze sia positive che negative, tra noi e loro. Non c’è nessuno intento di prevaricazione da parte mia. Alessio ha festeggiato il primo compleanno fuori dopo tanti anni di carcere da noi e lui dice che con il mio entusiasmo e modo di fare sono contagiosa. Anche Antonella cucina con i prodotti curati nell’orto del carcere di Secondigliano. Tutto questo è per noi impagabile».
Di Antonio Sabbatino