I numeri dei femminicidi incrementano quotidianamente il bollettino di una strage. Quattro donne sono state uccise solo negli ultimi giorni. Dall’inizio dell’anno sono già 109 gli omicidi di donne su un totale di 263 omicidi in Italia secondo un report della Direzione centrale della Polizia criminale. Dove sbagliamo? Facciamo un’analisi insieme a Lella Palladino, sociologa femminista, attivista dei centri antiviolenza, che nel 1999 ha fondato la Cooperativa sociale E.V.A. che gestisce in Campania cinque centri antiviolenza e tre case rifugio.

“Come ogni anno in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne si inizia la conta delle vittime – racconta Lella Palladino-. Dall’inizio dell’anno sono state uccise 109 donne e 3 bambini. E’ da anni che lavoriamo, scriviamo piani, applichiamo la convenzione di Istanbul, eppure i femminicidi sono in salita. Nel 2020 sono state 116 le donne uccise: il lock down è stata per le donne vittime di violenza una prigione da cui era più difficile fuggire. I femminicidi sono la punta dell’iceberg della violenza nei confronti delle donne. Per ognuna che muore migliaia continuano a vivere situazioni di gravità assoluta. In Italia, 89 donne subiscono qualche forma di violenza di genere. La violenza è trasversale alle variabili economiche, culturali, regionali, di età. Eppure, come denuncia anche Action Aid, solo il 2% dei fondi per i centri antiviolenza arriva a destinazione”.

In Europa, secondo Eurostat, nel 2019 sono state uccise 1.421 donne, quattro al giorno. E l’Italia è al quarto posto nella tragica classifica. “Non è facile fare un parallelo tra i vari paesi europei – continua la presidente di EVA- perché non esiste un sistema unitario che si basi su medesime basi scientifiche. Ma possiamo dire che stiamo peggio rispetto ad altri paesi: mancano risorse e servizi. Se nel nuovo piano contro la violenza ci sono dichiarazioni di intenti pertinenti e abbiamo un impianto normativo pienamente rispondente, di contro non ci sono le risorse per fare tutto ciò che si dichiara e le leggi non vengono applicate. Inoltre gli attori territoriali hanno una forte resistenza culturale a mettere in atto il sistema di protezione delle donne; nei tribunali la situazione è pessima: spesso la violenza non viene riconosciuta e persiste il paradosso per il quale le donne che denunciano i compagni violenti vengono sottoposte alla valutazione di genitorialità e rischiano di perdere l’affidamento dei figli”.

Da dove nasce la violenza sulle donne? “La violenza nasce, si riproduce e si giustifica – spiega Palladino- con la persistente discriminazione di genere: basti pensare che in Italia il tasso di occupazione femminile medio è del 48%, scende ancora nel Meridione e per le donne giovani: solo 1 su 2 lavora. L’iconografica classica, le favole, i miti sono misogini, le religioni monoteiste hanno tutte un dio maschio. Nella religione cristiana le donne nascono dalla costola di Adamo perché Adamo è solo: come dire che fin dall’inizio della vita le donne esistono perché servono all’uomo. L’ordine simbolico patriarcale serve al mantenimento di un ordine economico e viene perpetrato attraverso modelli culturali sessisti a partire dall’uso del linguaggio: le professioni con uno status medio basso vengono declinate al femminile, mentre tutte quelle che rappresentano affermazione e potere vengono declinate al maschile. Per tenere le donne in una condizione di subordinazione viene trasmessa l’idea che siano più propense a occuparsi della crescita dei bambini, degli anziani e dei compagni. Il 76% delle ore di lavoro non retribuito per i compiti di cura è svolto dalle donne, lavoro del quale altrimenti dovrebbe farsi carico il sistema pubblico”.

Napoli, la terza metropoli d’Italia è da tanti mesi senza sedi e senza risorse a partire dai centri antiviolenza. Ci sono pochissimi posti nelle case rifugio e ancora pochi asili nido. Anche la nuovissima misura del reddito di libertà conta difficoltà di applicazione.

“Bisognerebbe dare finalmente corso all’affidamento di centri – suggerisce la sociologa-, investire le risorse nel sistema dei servizi dedicati, attuare una rimozione dei vincoli all’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, intercettare i fondi del PNRR per le donne. Inoltre moltiplicare gli asili nido, strumenti strategici per superare la povertà educativa, per avviare un cambiamento culturale e permettere alle donne di lavorare”.

Là dove ci sono vulnerabilità multiple si moltiplicano le difficoltà di fuoriuscita dalla violenza: è il caso delle donne vittime di tratta. “C’è ancora una grande difficoltà per far emergere la tratta – sottolinea la presidente della Coop. Eva, tra gli enti attuatori dei fondi nazionali del progetto “Fuori Tratta” insieme a Dedalus, Arci e Caritas è particolarmente impegnata in questa battaglia sul territorio di Castel Volturno -. Andrebbero moltiplicate le unità mobili e andrebbe evidenziata la corresponsabilità collettiva del problema: con le vittime di tratta ci vanno i maschi italiani. Nella Coop. Eva, nonostante i tagli ai finanziamenti, abbiamo continuato a lavorare intercettando tutte le progettazioni possibili e immaginabili per garantire progetti finalizzati all’autonomia economica. Una bella storia da raccontare e da emulare è quella del Caseificio Spinosa di Castel Volturno che ha impiegato tre donne uscite da una nostra casa rifugio e attua una grande promozione dell’antiviolenza. Contrastare la violenza di genere ha bisogno di gesti concreti e di una responsabilità diffusa”.

di Alessandra del Giudice

 

Lella Palladino è sociologa femminista, attivista dei centri antiviolenza, ha fondato nel 1999 la Cooperativa sociale E.V.A. che gestisce in Campania cinque centri antiviolenza e tre case rifugio, oltre lo sportello di ascolto nell’Accademia di Belle Arti di Napoli con oltre 1200 donne rappresenta un esempio di eccellenza nella presa in carico, accompagnamento e strutturazione di percorsi di autonomia e inserimento lavorativo di donne in condizioni di particolare difficoltà che si sono liberate dalla violenza. Nel 2012 ha aperto il laboratorio di conserve e catering le Ghiottonerie di Casa Lorena e dal 2020 EvaLabShop che produce accessori di seta e prodotti di eccellenza ed opera in rete con la Reggia di Caserta, Carditello, Accademia di Belle Arti, seterie di San Leucio. Entrambi i progetti sono realizzati in beni confiscati alla camorra a Casal di Principe.

 

di Alessandra Del Giudice

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