carcere-680x365di Gianluca De Martino
 
ROMA – C’è una spada di Damocle che incombe sull’Italia, riguarda le condizioni disumane dei detenuti nelle carceri. «Intervenire subito contro il sovraffollamento». Prima ancora della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che porterà a gravi sanzioni per il nostro Paese, da anni è il mondo del volontariato a lanciare l’allarme. E a Roma, in una tavola rotonda promossa dal Centro nazionale per il volontariato e dal Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario, si sono confrontati i rappresentanti del terzo settore, impegnati nell’elaborare una proposta per gestire l’alternativa alle celle.
 
SOLUZIONI – Il progetto è stato illustrato da Edoardo Patriarca, presidente del Cnv, e Luisa Prodi, presidente del Seac, e prevede la costituzione di gruppi di lavoro e la distribuzione di un questionario per la ricerca a partire da settembre in collaborazione con la Fondazione Volontario e Partecipazione. I primi dati saranno diffusi nella primavera del 2014, proprio il periodo in cui scadrà l’ultimatum dell’Europa all’Italia affinché svuoti le carceri e renda più dignitosa la permanenza dei detenuti. I numeri fotografano una realtà impietosa: circa 65mila carcerati vivono in istituti penitenziari che al massimo potrebbero contenerne 47mila. «Come se non bastasse, a fronte di un aumento di detenuti, che hanno sfiorato anche quota 70mila, si sono tagliati i costi per farli mangiare tre volte al giorno. Altro che Strasburgo, questo è fuori dalla legge di Dio», ha attaccato Emilio Di Somma, dirigente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Le misure già sperimentate in passato, come amnistia e indulto, non hanno portato a grandi risultati. Si confida nel recente decreto legge “svuotacarceri”, il dl 78 che porta il nome del ministro della Giustizia Cancellieri. Ma anche in questo caso senza reinserimento sociale e senza risorse il rischio di un ennesimo buco nell’acqua (con alte percentuali di recidivi) è elevato. Il governo c’ha provato, ma come evidenziato dai sottosegretari Cosimo Maria Ferri (Giustizia) e Domenico Manzione (Interni), il testo ha subìto un ridimensionamento in commissione Giustizia del Senato. «I parlamentari hanno la percezione che il governo voglia mettere fuori i delinquenti. Rendere sicuro il Paese vuol dire sostenere il volontariato e vedremo che anche i casi di recidiva diminuiranno se si creano percorsi virtuosi al di fuori dei penitenziari», ha affermato Ferri, il quale ha preso l’impegno di promuovere un confronto tra i rappresentanti del terzo settore e il ministro Cancellieri, proprio sul tema delle alternative al carcere. «La mancata convocazione del volontariato è una scelta che non ci trova d’accordo – ha affermato Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia -. Dovrebbe essere un atto dovuto ascoltare le nostre proposte e le nostre esperienze, invece si prosegue con l’isolamento».
 
CSVNET – E nel corso della tavola rotonda a Palazzo Marini di esperienze sui territori, dentro e fuori gli istituti di pena, se ne sono state ascoltate diverse, dal Veneto alla Sicilia. Stefano Tabò, presidente di Csvnet ha spiegato che «dedicarsi al volontariato significa avere a che fare con la sfera della passione. La costruzione di una nuova cittadinanza attiva passa attraverso il riconoscimento del diritto del detenuto ad affrontare una realtà alternativa alla pena. Sul tema del carcere ci sono centri di servizio che hanno già costituito gruppi di lavoro, segno che il tema ci vede necessariamente responsabilizzati». «La vita comunitaria è essenziale per il recupero dei detenuti – ha spiegato Claudio Guerrini dell’Associazione Isola dell’Amore fraterno di Roma -. Abbiamo a che fare quotidianamente con persone che hanno preferito compiere un reato piuttosto che guadagnarsi onestamente da vivere. E’ impensabile che il loro recupero passi attraverso il lavoro gratis. C’è, quindi, un problema di reperimento dei fondi».
Per raccogliere tutte queste voci, comprese quelle degli ospedali psichiatrici giudiziari, che accolgono 1200 detenuti-pazienti in tutta Italia ma sono destinati alla chiusura, sarà necessario quel coordinamento auspicato dal presidente Patriarca, deputato del Pd e componente della commissione Affari Sociali. «Avviare un monitoraggio e contemporaneamente insediare un tavolo con rappresentanti del volontariato e del terzo settore, dell’amministrazione penitenziaria, del governo, del parlamento e degli enti locali è una scelta di responsabilità. L’obiettivo di questo percorso sarà garantire il rispetto dei diritti e delle condizioni di vita dei detenuti». E a chiederlo non è soltanto l’Europa.
 

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