Un confronto tra tre rappresentanti delle religioni monoteiste sul tema della pace, parola quasi scomparsa dal vocabolario collettivo visti i tanti conflitti che devastano ancora popolazioni di diverse aree geografiche e che sembrano irrisolvibili: dal Medio Oriente all’Ucraina, senza dimenticare le altre zone di guerra di cui si parla poco in Asia e in Africa. L’incontro, tenutosi nell’Aula Magna della Pontificia Facoltà Teologia dell’Italia Meridionale (PFTIM), ha visto gli interventi di Sihem Djebbi, esperta in Scienze politiche e Relazioni internazionali e docente alla Sciences Po Paris, Università Paris Nord-Sorbonne di orientamento religioso musulmano, Tamar Elad-Appelbaum, rabbina, fondatrice e leader spirituale di Kehilat Zion a Gerusalemme, una comunità di ebrei israeliani e la coordinatrice della Specializzazione in Teologia Fondamentale PFTIM – Sez. San Luigi Giuseppina De Simone, cristiana.
L’intervento della professoressa Sihem Djebbi-La professoressa Sihem Djebbi ricorda: «Il quadro teologico, etico e culturale nell’Islam pone la pace e la non violenza come il bene e l’obiettivo ultimo per ogni credente e comunità» aggiungendo come «la mediazione, il dialogo, che sia interreligioso e non, la tolleranza (la diversità essendo considerata parte dell’ordine divino), la moderazione e il rispetto della dignità umana (con una prospettiva di umanesimo universale) costituiscono i pilastri di questa concezione)». Anche nel mondo islamico, dal punto di vista intellettuale e culturale oltre che teologico è in evoluzione. Sihem Djebbi fa riferimento a «intellettuali musulmani detti “riformisti”, teologi e non (come Mérad, Arkoun, Talbi, Charfi, Abouzid…) da una trentina di anni, sia nel mondo a maggioranza musulmana che nei paesi occidentali, stanno producendo un lavoro di “restituzione’’ del significato dell’Islam e dei valori fondatori legati alla pace e alla non-violenza, in una prospettiva ermeneutica. Ricordano anche la pluralità di prospettive e di prassi che sono esistite nel corso della storia dell’Islam. Questo lavoro si sta diffondendo oltre le sfere teologiche, per irrigare una riflessione più profonda nel mondo musulmano». Dunque, sottolinea la docente alla Sciences Po Paris, Università Paris Nord-Sorbonne, «nel mondo musulmano diverse iniziative hanno anche dimostrato, in questi ultimi decenni, la crescente volontà di promuovere la pace mediante la valorizzazione delle letture pacifiste del Corano e della tradizione religiosa, e la condanna di ogni tipo di estremismo. Nel mondo arabo, il Marocco, la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti, e, sul piano delle autorità religiose, l’istituzione egiziana di Al Azhar sono tra i più eminenti rappresentanti di questa tendenza. Queste iniziative – afferma nel suo intervento Djebbi – convergono spesso, anche in modalità cooperativa, con quelle della società civile. In molti paesi, come il Marocco, il Libano, Israele e Palestina o l’Egitto, sono attive numerose organizzazioni che attuano, in modo costante, all’interno e tra le varie comunità, il dialogo interreligioso e interculturale». E le iniziative che si inseriscono nel solco della società civile, «è particolarmente rilevante dal 7 ottobre 2023, data del massacro perpetrato da Hamas in Israele, e dell’intensificarsi del blocco di Gaza e delle operazioni militari di Israele nei territori palestinesi». La professoressa avverte: «I principali esponenti politici e religiosi appaiono più riluttanti nell’attuazione di iniziative concrete di pace e di dialogo. In contesti poco democratici (la libertà di espressione continua ad essere una problematica nel mondo arabo, e lo sta diventando sempre di più in Israele), tali iniziative di pace e di dialogo, non allineate con la diplomazia o la politica ufficiale dello Stato, non solo non sono valorizzate, ma sono offuscate, o addirittura represse. Sono anche criticate da una parte del gruppo sociale/religioso di appartenenza». Ed ecco la conclusione. «Stiamo quindi vivendo, in relazione con il conflitto israelo-palestinese, un momento di grande difficoltà nella costruzione della pace e del dialogo interreligioso, non solo nel Medio-Oriente ma anche oltre, per via dell’intensità delle connessioni emotive del resto del mondo con detto conflitto. In particolare, nel dialogo del cristianesimo, e a maggior ragione dell’Islam, con il giudaismo».
Le parole della rabbina Tamar Elad-Appelbaum-Accorato l’appello della rabbina Tamar Elad-Appelbaum. «È ora più che mai, di fronte alla violenza, che questa voce della religione è necessaria. Una voce di tolleranza, di devozione, di compassione per tutti, di chiarezza morale che traccia la linea di demarcazione tra il bene e il male, che si allea contro l’estremismo, il razzismo e l’odio, che si oppone esprimendo un modo di condividere l’umiltà e la pace e che lo dimostra, come preghiera, come azione di fede, nell’abisso». Ovunque «vada in questi giorni – è il rammarico – incontro persone distrutte, nel profondo dell’abisso. Eppure, molti di loro si ostinano a custodire un piccolo, santo, puro, umile puntino di fede nel loro cuore. Cercano una voce di ascesa. Cercano leader religiosi coraggiosi e attivi. Per un linguaggio che sia santo, umile e speranzoso». La realtà in Medio Oriente è qualcosa che assomiglia all’inferno e Tamar Elad-Appelbaum non può di certo negarlo. «Questi sono giorni di profondo dolore e tristezza. Dal 7 ottobre 2023, tante vite e tanti cuori sono stati spezzati dalla violenza, dall’odio, dalla sofferenza e dalla disperazione. Molti hanno perso la speranza nell’umanità, molti si sentono abbandonati e soli. In mezzo a questo fallimento umano, c’è un posto per la religione nella costruzione della pace? Sì. Più che mai. Perché questo è il compito di coloro che temono Dio e seguono le sue vie con umiltà, di coloro che credono, in mezzo all’abisso umano, che Dio è un faro eterno, che guida per sempre coloro che ascoltano, verso un futuro di parentela e di pace. La tradizione ebraica parte proprio da questo punto: “In principio Dio creò il cielo e la terra».
Il ragionamento di Giuseppina De Simone –Anche la coordinatrice della Specializzazione in Teologia Fondamentale San Luigi Giuseppina De Simone, di fede cristiana, è persuasa della necessità di «ridare credito alla pace, di comprendere che la guerra non è mai la soluzione ai problemi ma la loro moltiplicazione all’infinito. Questo vuol dire cercare con determinazione ciò che ci unisce: non una “fraternità” omologante imposta dall’alto ma una possibilità di relazione che tenga vive le differenze in una reciprocità che si allarga a apre a ulteriori relazioni. La sfida è ripartire da quanto la narrativa diffusa ci mostra come terreno di scontro, motivo di conflitto». Una soluzione? «Partire dalle fedi e dalla fede, da cosa vuol dire credere, dall’esperienza religiosa al cuore di ogni religione. Muovere da questa convinzione – spiega De Simone – consente di essere avveduti rispetto alla tentazione dell’ostilità verso l’altro che si annida in ogni tradizione religiosa; aiuta a smascherare ogni strumentalizzazione politica della religione da qualunque parte essa venga». In questo senso, «il lavoro della Rete Teologica Mediterranea, che coinvolge teologi e teologhe delle cinque sponde del Mediterraneo e che ci vede impegnati come Sezione San Luigi, insieme all’intera Facoltà Teologica di Napoli, va nella direzione della costruzione di percorsi di pace, ricercando i fondamenti e le condizioni che possono ritessere i legami tra i popoli». Tutto ciò rimanda alla «teologia che si fa spazio di incontro e di mutuo riconoscimento della diversità delle culture, delle sensibilità e delle storie del Mediterraneo, dando vita a un pensiero che ha il sapore della complessità, la forza della condivisione e della compromissione con la storia. Non una teologia neutrale, ma una teologia che aiuta ad assumersi la responsabilità per la storia, oltre ogni rassegnazione. Una teologia della pace e per la pace».
di Antonio Sabbatino