vociROMA – Avvinghiati a coperte malridotte, indispensabili. Stretti nelle loro scarpe strappate, nei panni bucati dal tempo. Provate a chiamarli come volete, clochard, homeless, barboni, e provate a domandargli: perché?. Vi diranno tutti la stessa cosa: che a diventare un senzatetto, basta uno schiocco di dita involontario. Lasciate, dunque, l’idea di anime vagabonde e spasmodica ricerca di libertà assoluta e rivoluzionaria. Sopravvivere per strada, è necessità. Dare loro la possibilità di aprirsi, di essere conosciuti, ascoltati, capiti. C’è chi l’ha fatto, addentrandosi in un mondo difficile, imparando a parlare una triste lingua. Pubblicato da Francesca Zuccari, Dottore di ricerca in Servizio Sociale, e docente di Storia e Principi del Servizio Sociale presso l’Università Lumsa di Roma, e da Laura Paolantoni, Assistente Sociale, che svolge attività di consulenza e progettazione di interventi nei settori della terza età e del disagio psicosociale nel Comune di Roma, il libro “Voci dalla strada – I senza dimora di Roma si raccontano”, offre un’ampia e diversa panoramica del fenomeno, accendendo diverse luci, su una problematica, spesso posta in secondo piano.
L’ANALISI – Il lavoro, prende spunto da una ricerca su base nazionale, svoltasi a cavallo tra il 2008 e il 2009 e pubblicata sul n° 10 dei “Quaderni della Ricerca Sociale” nel 2010, che ha coinvolto Istituti Universitari ed Enti di Ricerca delle città di Milano, Genova, Bologna, Roma, Bari. Nella capitale, l’indagine conoscitiva “La città di tutti – come le persone senza dimora vivono e come potrebbero vivere il rapporto con la città”, affidata alla Comunità di Sant’Egidio – Acap Onlus, ha permesso la nascita di un volume che dà diritto di parola e di ascolto agli emarginati. “Grande spazio,- dichiarano le autrici- è stato dedicato al racconto diretto delle storie di vita delle persone incontrate, al loro modo di parlare di sé, non solo delle loro difficoltà, ma anche delle esigenze, dei desideri e dei progetti, un ambito questo in genere assai poco indagato. Infatti, nel comune sentire, le persone senza dimora sono portatrici di soli bisogni primari e puntano alla mera sopravvivenza quotidiana, non hanno aspirazioni, né immaginazione, né sogni. Sempre nell’opinione corrente, sono esse stesse a scegliere una vita marginale e in qualche modo “bohemienne” (un dato questo peraltro clamorosamente smentito dai risultati della ricerca). Nostro scopo è quello di offrire, proprio attraverso i racconti, uno sguardo non stereotipato né convenzionale”.
RAPPORTI COI SERVIZI SOCIALI – “Un altro focus rilevante – continuano- riguarda il rapporto tra i senzatetto e i servizi sociali, sul modo in cui questi ultimi rispondono o non rispondono ai bisogni da loro manifestati. Per questo, è stato importante incontrare e intervistare anche un certo numero di “stakeholders”. In generale, come unanimemente confermato dagli operatori sociali sentiti, il rapporto appare assolutamente insufficiente e in molti casi fallimentare. Il servizio, appare barricato negli uffici, di difficile accesso per gli “invisibili”, non scende in strada, non entra nel mondo delle persone ad ascoltarne i bisogni, non realizza empatia; al contrario, viene percepito come capace solo di risposte lente e burocratiche, quando pure ne dà. Comunque, al di là della generica lamentela sull’inefficienza dei servizi, i senza dimora manifestano la precisa esigenza di essere interpellati, di scegliere ciò che è meglio per sé stessi, di partecipare. Sarebbe inutile e riduttivo addebitare tutta la responsabilità di una tale situazione ai singoli assistenti sociali, che spesso lavorano essi stessi in condizioni di insufficienza di risorse e di spazi, ancor più nell’attuale situazione di “spending review” e di tagli lineari al budget dei servizi. Più sensata, produttiva, e non ulteriormente rinviabile, appare la riflessione e l’adozione di nuove metodologie di intervento e di lavoro di rete. Serve un maggiore dialogo e coordinamento tra strutture pubbliche e di terzo settore, allo scopo di rendere i servizi sociali più accessibili, con l’adozione di percorsi di accompagnamento verso una graduale uscita dalla marginalità, verifiche territoriali, visite nei luoghi di ricovero e ogni altra iniziativa necessaria per intercettare le loro domande e i bisogni, più o meno espressi.”
I DATI- Dissoluzione di equilibri familiari, precarietà del lavoro, devianze quali droga, alcol, carcere, condizione di immigrato o rifugiato. Sono i dati emersi dall’indagine condotta, che rappresenterebbero la spinta all’emarginazione. “Tutte le storie raccolte,-affermano le Dottoresse- parlano del dolore, dei pericoli, delle malattie che si contraggono, dell’affanno per la soddisfazione di bisogni primari, della sensazione di appartenere ad un pianeta a parte. La mancanza di lavoro e l’esser costretti a tirare a campare, la mancanza di una casa che non sia solo un tetto sulla testa, ma un luogo dove sia possibile costruire identità, affetti, relazioni, progetti di vita: questi appaiono i maggiori problemi lamentati, insieme alla paura e all’insicurezza della vita di strada, alla mancanza di amicizie e relazioni significative, alla solitudine. Tuttavia, il dato che accomuna tutti e che viene vissuto come un’ autentica tragedia personale è quel che loro chiamano “invisibilità”, una forma di stigma che allontana la persona da qualsiasi contesto sociale e di relazione. Dobbiamo dirlo chiaramente: ai senza dimora la società chiede semplicemente di scomparire e di arrecare meno disturbo possibile. Non si “investe” su di loro e sulle loro competenze e risorse, perché di fatto non si crede alla loro reale capacità e volontà di miglioramento. Uno dei punti focali del nostro lavoro, ha riguardato proprio le aspirazioni, i desideri e i progetti delle persone senza dimora. E’ un ambito talmente poco indagato che le stesse persone incontrate sono rimaste in qualche modo stupite e inizialmente disorientate dal fatto che chiedessimo loro di parlare di come si immaginavano per l’avvenire o di ciò che avrebbero desiderato per sé stesse. Come se l’aspirazione al cambiamento e ad un futuro differente appartenessero al repertorio dei sogni irrealizzabili. Per questo, riteniamo che ogni tentativo di approccio al problema dei senza dimora, dovrà inevitabilmente tener conto di questo aspetto fondamentale: l’abbattimento dello stigma, la considerazione e fiducia della società e delle istituzioni nelle possibilità concrete di cambiamento. Farle tornare “visibili” vuol dire affrontare in modo mirato i loro problemi e costruire percorsi personalizzati di ricostruzione dell’identità e di integrazione nel contesto sociale.”

di Carmela Cassese

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