di Francesco Gravetti
TRAPANI. Una delegazione dell’Arci, grazie alla presenza della parlamentare del Pd Alessandra Siragusa, ha potuto accedere al Cie di Trapani Milo, dove nei giorni scorsi c’erano state proteste, fughe e 70 detenuti avevano deciso lo sciopero della fame e della sete. Dal comunicato stampa dell’associazione, la descrizione della visita: «La struttura è stata concepita come un super carcere, con alte mura che dividono i vari bracci impedendo qualsiasi comunicazione tra di essi. Quel che colpisce subito come un pugno nello stomaco  è la situazione di estremo degrado, strutturale, igienico e sanitario. Le stanze, sporche, maleodoranti e spoglie, contengono ognuna sei brandine, sprovviste di lenzuola e cuscini.  I bagni, privi di porte, non hanno docce funzionanti».
LE PROBLEMATICHE. Nonostante le rassicurazioni del medico, che ha definito la situazione sanitaria “d’eccellenza”, la delegazione dell’Arci ha riscontrato una evidente violazione del diritto alla salute, che si manifesta sia per la carenza di strumentazioni d’urgenza (manca per esempio un defibrillatore), sia per l’incuria a cui sono abbandonati i malati: un ragazzo col braccio lesionato aspetta da quattro mesi di essere visitato, un altro dovrebbe essere operato a un occhio, tre cardiopatici non ricevono l’assistenza necessaria. Il medico ha anche riferito che ci sono stati negli ultimi tempi ben 50 atti di autolesionismo e alcuni tentativi di suicidio.  Manca un luogo di culto, come emerge dai racconti dei migranti, così come è del tutto assente l’assistenza legale, anche per i richiedenti asilo (36), alcuni dei quali, in attesa dell’esito della richiesta,  sono stati trasferiti qui dal Cie di Serraino Vulpitta.  Secondo i rappresentanti dell’ente gestore esisterebbe una lista d’avvocati d’ufficio che però non è pubblica e dunque difficilmente accessibile ai migranti.
I NUMERI. Attualmente i trattenuti sono 190, a fronte di una capienza massima di 204 persone. Il periodo di detenzione medio è di 5 mesi, ma alcuni sono rinchiusi già da 8 mesi. La stragrande maggioranza sono tunisini privi di documenti e non identificati dal loro consolato. Molti provengono dal carcere, altri sono trattenuti perchè il permesso di soggiorno è scaduto o hanno perso il lavoro, nonostante alcuni siano sposati con italiane, abbiano figli nati in Italia e vi risiedano da più di dieci anni. L’impressione della delegazione è stata quella di essersi trovati catapultati in un girone infernale, di fronte a esseri umani umiliati. Una situazione intollerabile, che l’Arci ha più volte denunciato e che l’opinione pubblica deve essere messa in condizione di conoscere.
Di qui l’importanza della Campagna Open Access Now promossa in Europa e in Italia per la libertà di informazione sui Centri e per il diritto alla trasparenza. Ma questo non basta. La realtà constatata nei pochissimi luoghi di detenzione in cui è stato concesso di entrare rappresenta uno sfregio alla democrazia.
PER SAPERNE DI PIU’:
Visite ai Cie, la denuncia dell’Arci: «Si entra solo a Bologna»

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui