di Ortensia Ferrara
Solo per farti sapere che sono viva: l’unica frase che le donne saharawi, analfabete, avevano imparato a scrivere sul retro delle cartoline che inviavano ai propri mariti profughi in Algeria, durante l’invasione dell’esercito marocchino. Donne vittime di tortura, incarcerate, colpite dalle bombe al napalm, umiliate, ma forti e dignitose nel proprio dolore: le loro storie sono raccolte nel documentario girato nel Sahara occidentale occupato e nei campi profughi in Algeria dalla giornalista Emanuela Zuccalà e dalla fotografa Simona Ghizzoni.
«Le donne saharawi sono interessanti da tanti punti di vista: la società conferisce loro un ruolo molto importante, nei campi profughi partecipano proprio come gli uomini alla vita politica – spiega Emanuela Zuccalà – Non è corretto far passare esclusivamente la concezione di ‘vittima’: molte di loro, incarcerate a lungo, sono diventate vere e proprie icone, protagoniste assolute della lotta per la resistenza. Sono anche donne molto dignitose, che cercano di preservarti dal loro dolore, ma allo stesso tempo vogliono raccontarti tutto. E alla fine, sono loro ad abbracciarti e a consolarti, perché non sei in grado di sopportare quello che stanno affrontando».
SOLO PER FARTI SAPERE CHE SONO VIVA from Emanuela Zuccala on Vimeo.
IL TEAM. Anche il team che ha lavorato al documentario è tutto al femminile: oltre alle due autrici, hanno collaborato al progetto Giulia Tornari di Zona e la producer Raffaella Milazzo. Un progetto che, grazie al crowfunding, consentirà di finanziare interamente la produzione del documentario, con la possibilità che, con una nuova raccolta fondi, si possa investire su un nuovo viaggio, in modo da ampliare il documentario ad almeno 50 o 70 minuti.
«Il 24 settembre abbiamo lanciato sul sito di emphas.it la nostra raccolta fondi, con l’ obiettivo di arrivare, in due mesi, a 12mila dollari, quanto ci serviva per produrre 25 minuti di documentario. A pochi giorni dalla scadenza siamo riuscite a superare quella cifra. Un successo enorme, considerato che in Italia finora il crowfunding non ha ancora attecchito: vuoi per lo scetticismo rispetto alle transazioni on line, vuoi perché manca la filosofia del progetto partecipato, vuoi perché non si conosce bene l’inglese e non si sa come orientarsi. Eppure, dall’associazione Terra pace e libertà di Sassuolo che ha donato 1200 dollari alla femminista algerina Meriem Belaala, presidente di Sos donne in difficoltà, che ha donato ben 3000 dollari, dall’artista libanese Zena El Khalil che ne ha donati 500 e ha offerto una sua opera d’arte a chi avesse raddoppiato la sua donazione alla regista e presidente dell’associazione Agenda Sant’Egidio Maite Bulgari che ne ha immediatamente offerti 1000, in tanti hanno voluto fare la propria parte». Ma il vero successo per le autrici è un altro: la possibilità di tenere in piedi l’attenzione per i saharawi, un tema spesso ignorato dai media. E anche il fatto che in tanti, dalle persone comuni alle piccole associazioni, abbiano voluto attivarsi con una donazione, ognuno a seconda delle proprie possibilità.
PER SAPERNE DI PIU’:
www.zona.org